Buon inizio di settimana!
Come accennavo nel precedente post ho letto questo romanzo e ve ne vorrei parlare.
Libro stra-consigliato da lettori fidati, che l’avevano letto in
lingua originale, e che è stato assolutamente all’altezza delle aspettative.
Di seguito un milione di spoiler, mi spiace, ma altrimenti
non avrei potuto proprio commentarlo.
Un reality show che è un’arena in cui gli sconfitti si
sacrificano come tributi di fronte alla città vincitrice.
Impossibile non pensare a Roma e ai suoi "giochi", anche il
più distratto lettore noterà come i nomi degli abitanti di Capitol City siano
tutti romaneggianti.
Il conduttore è Caesar e il presentatore è Claudius…
Dicano tutti quello che vogliono, ma di Roma e del suo Impero, la nostra cultura occidentale pare non poter fare mai a meno.
Lasciando perdere reminescenze storiche, direi che l’attualità
del libro e il modo in cui i temi sono affrontati sono perfetti per gli young
adults ma anche per gli adults.
La fame, la guerra, l’obbedienza al sistema, la rappresaglia
del sistema.
L’apparire, l’opulenza di pochi e la fame di molti.
Questo per il sociale, poi si passa al personale.
Katniss e la sua salda presa nella famiglia, il suo astio
nei confronti della madre caduta in una comprensibile depressione dopo la morte
dell’amatissimo marito. L’attaccamento ossessivo nei confronti della sorella.
La sua crescita insieme a Gale.
Il sentirsi in debito. Su questo punto vorrei tornare dopo.
Altra psicologia quella di Peeta. Questo personaggio mi
suscita un malessere quasi fisico, per tutti i maltrattamenti psicologici che
deve avere subito. Figlio non amato, nullità apparente dimostra un’intelligenza
fuori dal comune. Il suo discorso prima dell’inizio dei giochi coglie in pieno
l’essenza dei giochi. Non vuole farsi spersonalizzare, né strumentalizzare. Ci
riuscirà?
La storia non finisce, è sospesa in bilico sul pericolo che
incombe sul capo di Katniss e sui suoi confusi sentimenti, verso chi le è
sempre stato vicino e che conosce, e chi, invece, ha conosciuto e che, a suo modo, è il motivo per cui lei è viva.
Povera ragazza in debito con entrambi. Per lei spezzo una
lancia, dopo tanti triangoli sdolcinati questo è veramente crudele da far star male chiunque.
La figura di Rue spicca nel buio dei giochi. Inutile che vi
dica che ho pianto mentre Katniss la cospargeva di fiori.
Gli abitanti del
distretto 11 sono trattati peggio degli altri e, come spesso accadeva proprio
negli imperi passati in cui gli agricoltori erano quelli che per primi morivano di
fame, anche nel distretto di Rue la fame uccide.
Interessante il confronto tra i distretti di Panem.
Mi incuriosisce moltissimo il distretto 13, come pure la
ragazza senza voce. Suppongo che nei prossimi due libri capirò di che si
tratta.
Dovessi sintetizzare questo libro direi che mostra il meglio
e il peggio degli animi umani e che nonostante la crudeltà della storia non
cede mai al compiacimento verso la disperazione.
C’è una compostezza e una fierezza nei partecipanti ai
giochi che naturalmente lascia trasparire quella che sarà la ribellione verso
Capitol City.
Per contro c’è l’assuefazione, che ben conosciamo, al
reality. Che piace a tutti, tranne ai partecipanti, ovvio.
L’unica perplessità che mi è rimasta è su come potessero
riprendere i giocatori durante i giochi.
Avevano sì inseriti i localizzatori e dunque, quando
morivano, potevano saperlo immediatamente ma come riprendevano i giocatori? Il
territorio su cui si muovevano era così vasto che posizionare telecamere in ogni albero mi pare decisamente poco verosimile. Magari l'autrice lo spiegherà nei prossimi libri. Non che sia fondamentale, ma è l’unica perplessità che mi
resta.
Il pensiero finale è al fatto che è l’arte a salvare i due
protagonisti.
Peeta non si salva per la sua forza ma per la sua dote di
saper dipingere e decorare se stesso. Katniss fa un uso intelligente del
suo dono del canto e da Rue apprende la melodia che l’aiuterà molto.
Anche questo mi ha fatto riflettere, alla fine rimanere
persone ha coinciso con non perdere capacità artistiche per darsi solo alla forza
bruta. Magari l’hanno già scritto tutti, ma io l’ho trovata un’idea eccezionale.
Durante la pausa estiva dalla scuola i due cominciano a frequentarsi, ma il primo appuntamento non è all'altezza delle aspettative: Alex, dapprima interessato, diventa freddo e distante, mentre Sofia si strugge per l'accaduto. Il mutamento di Alex è dovuto all'improvvisa apparizione, nel cielo, di una strana e improbabile costellazione, la stessa che vede poi Sofia nel tragitto verso casa. I due s'interrogano su ciò che hanno visto e sul sogno che coinvolge entrambi quella stessa notte, inoltre Alex s'accorge d'avere il simbolo "tatuato" sulla pancia, per cui, tormentato, si adopera nelle ricerche su Internet, mentre Sofia, durante un'uscita nella vicina Venezia, ritrova casualmente il simbolo davanti al portone di una casa; solo quando i due s'incontrano per un nuovo appuntamento, scoprono d'essere entrambi coinvolti in un mistero che sconvolgerà per sempre le loro vite. Ad attenderli in quella casa a Venezia, infatti, ci sono Hennio e Adel, la donna che era apparsa loro in sogno, e altri sette tra uomini e donne, ragazzi e ragazze, che come spiega Adel hanno risposto al richiamo del simbolo, ovvero l'Onges, emblema dell'Isola di Estreira: i sette dovranno affrontare una serie di prove che decreterà un solo e unico prescelto, colui che è destinato a ricoprire il ruolo di Esedion, ambasciatore di Estreria sulla Terra. Come sarà rivelato al prescelto, infatti, il Regno di Estreira si trova in una dimensione parallela, pur facendo parte, un tempo, della Terra stessa. L'origine dell'Isola ha a che fare con i miti di Atlantide e il continente perduto di Mu, e tale deve restare (è compito dell'Esedion celare la realtà) perché Estreira è un'isola felice dove gli abitanti possiedono facoltà mentali e tecnologia avanzati.
Ma questi sono aspetti che in fondo non portano alla felicità, specie quando emergono sentimenti feriti, odio e rancore, perché Estreira nasconde un oscuro, tragico passato, che ruota intorno alle figure di Ryan e Myros.
La cosa più bella di questo romanzo è che effettivamente ogni personaggio ha le sue buone ragioni: dopo aver compreso la verità dei fatti, come dar torto al Re? Ma come, viceversa, darlo a Ryan, e ai suoi giovani sogni di libertà assieme all'amico Myros? Ognuno di loro (e non solo) ha commesso errori, consapevolmente o meno, ma al tempo stesso non li si può condannare né giustificare del tutto. Certamente, visti i risvolti finali, Ryan è il personaggio in cui, più di tutti, l'ago della bilancia punterebbe sul negativo, eppure c'è qualcosa in lui, forse il sincero dolore per Myros oppure la carezza ad Amnar, che m'intenerisce e mi spinge a credere che ci sia ancora una speranza per il suo animo tormentato, perché in fondo lui è quello che più di tutti è rimasto solo, isolato nella sua sofferenza e senza l'appoggio di nessuno; probabilmente sarebbe difficile farlo ragionare vista la situazione estrema che si è creata, ma perché non provarci? Perché nessuno è capace di parlargli, e viceversa, ascoltarlo? Ecco, se non si era capito Ryan è un dei miei personaggi preferiti. Se affermo questo, è perché la mancanza di una netta distinzione tra "buoni" e "cattivi" dona profondità ai personaggi; ho apprezzato questa caratteristica anche perché crea un intreccio intrigante.
Il finale scivola via in fretta ma da l'idea che ci sia un seguito, anzi, pone un dubbio che spinge ad aspettarlo con ansia. Forse l'autrice ha volutamente lasciato in sospeso alcuni dettagli, e chissà che non ci siano altre verità. Ho un sospetto...