La sentite la primavera?
È lì, nascosta, come un attore dietro il sipario che attende la battuta per entrare in scena. Sarà un ingresso timido ma deciso e, alla fine, non smetteremo più di battere le mani.
Passato il carnevale, passato il meteorite, passato San Remo, ritorno con un classico.
Calvino diceva che i classici sono i libri che non finiscono mai di dire quello che hanno da dire, in questa prospettiva "La preda" è di sicuro un classico.
Sì, perché, mi spiace, hanno poco da arricciare il naso i puristi, Irène Némirovsky è una scrittrice che passerà alla storia. Ha superato la negatio memoriae di Auschwitz grazie alla forza delle passioni che ha saputo narrare e, ora che i diritti d'autore sono di tutta l'umanità, è doveroso riappropriarsi delle sue storie.
La trama:
"La mia anima, come una nave nella burrasca, è trascinata verso ignoti abissi": quando Jean-Luc Daguerne scoprirà dentro di sé "quel desiderio di tenerezza, quel disperato bisogno di amore" che ha sempre negato e represso, saprà anche che non riuscirà mai a soddisfarli. Lui, che per tutta la vita non ha sognato altro se non di "afferrare il mondo a piene mani", soprattutto quello vicino al potere, e che per riuscirci ha messo incinta la figlia di un ricco banchiere, costringendo così il padre a dargliela in moglie; lui, che ha accettato di essere umiliato, di mentire, di adulare, di fare il doppio gioco, che ha inaridito il proprio cuore perché potesse affrontare senza fremere "un mondo di imbroglioni e di sgualdrine": ebbene, proprio lui si troverà di fronte all'impossibilità di farsi amare dall'unica creatura che abbia amato in vita sua, dall'unica donna nelle cui braccia abbia sentito riemergere in sé, fino a soffocarne, la sua fragilità di bambino. Allora non gli importerà più niente della sua carriera politica, né del successo tanto rabbiosamente cercato. E si chiederà che senso abbia avuto tutto quel lottare ansimante per sottrarsi a un destino di miseria, per intrufolarsi negli ambienti giusti, per avere in mano le carte vincenti. Alla fine, il patto faustiano si rivela una beffa, e il successo che, "da lontano, ha la bellezza del sogno, allorché si trasferisce su un piano di realtà appare sordido e meschino".
Il mio commento:
Irène Némirovsky in questo
romanzo ci regala un personaggio indimenticabile: JeanLuc Daguerne. Per questo
giovane uomo proveremo una gamma di sentimenti contrastanti, dall’affetto al
disprezzo, dalla vicinanza alla pietà.
Come non riconoscersi, in questi
tempi, nella voglia di riscatto di questo giovane laureato che sgomita per
trovare un posto nella società parigina, post crisi del ’29?
Come non condividere la sua
determinazione mentre cerca di farla pagare alla sua fidanzata che ha preferito
un ricco rampollo rispetto al suo amore e alla sua devozione?
Si rabbrividisce mentre quest’anima
pervasa di entusiasmo, si trasforma in un gelido calcolatore capace di mettere
a repentaglio la vita della moglie e del figlio, pur di avere successo.
La caducità dei successi umani,
ma anche degli affetti, l’incomprensione assoluta tra generazioni, tra classi
sociali. Lo sguardo spietato e veritiero di Irène Némirovsky è come un faro che
illumina la notte delle miserie umane mostrandone ogni sfaccettatura.
L’immagine del gruppo di uomini
maturi che appartengono alla stessa razza e impediscono qualsiasi ingresso o modifica
del sistema, a chi non appartiene alla loro cerchia, ci appare in una lucida
constatazione dello stato delle cose.
La passione, le passioni sono
ancora una volta i personaggi principali della sua storia e il contesto, di
incredibile attualità, coinvolge fino in fondo il lettore.
L’impossibilità di amare e di
smettere di amare conducono al finale, inevitabile, che ci mostra ancora una
volta, come sia misurata e onesta l’autrice nei confronti del lettore, senza
false speranze e senza buonismi fuori luogo, la tragedia ci aspetta all’orizzonte.