I cani e i lupi
Traduzione di Marina Di Leo
2008, 5ª ediz., pp. 234
RISVOLTO
Le basta vederlo una sola volta, quel bambino ricco, ben vestito, dai riccioli bruni, dai grandi occhi splendenti, che abita nella meravigliosa villa sulla collina e di cui dicono sia un suo lontano cugino, per essere certa che lo amerà per sempre, di un amore assoluto e immedicabile. A Kiev, la famiglia di Ada abita nella città bassa, quella degli ebrei poveri, e suo padre fa parte della congrega dei maklers, gli intermediari, quegli umili e tenaci individui che si guadagnano da vivere comprando e vendendo di tutto, la seta come il carbone, il tè come le barbabietole. Fra le due città sembra non esserci altro rapporto che non sia il disprezzo degli uni e l’invidia degli altri. Eppure, allorché il ragazzino Harry si troverà di fronte la bambina Ada, ne sarà al tempo stesso inorridito e attratto: come «un cagnolino, ben nutrito e curato, che sente nella foresta l’ululato famelico dei lupi, i suoi fratelli selvaggi». Quando molti anni dopo, a Parigi, il destino li metterà di nuovo l’uno di fronte all’altro, Harry non potrà più indietreggiare, e dovrà fare i conti con quella misteriosa attrazione che Ada esercita su di lui. Alla prima edizione di I cani e i lupi l’autrice premetteva un’avvertenza in cui, presentando il romanzo come una vicenda che non poteva essere altro che «una storia di ebrei», ribadiva la propria intenzione di descrivere il popolo a cui apparteneva così com’era, «con i suoi pregi e i suoi difetti»: giacché, affermava orgogliosamente, «in letteratura non ci sono argomenti tabù». Oggi, i numerosissimi lettori che la amano sanno che pochi sono stati in grado di raccontare il mondo degli «ebrei venuti dall’Est, dall’Ucraina o dalla Polonia» con altrettanta verità e altrettanto amore.
Non ho ancora finito di leggere tutti i romanzi di Irène, ma questo, credo, possa essere considerato tra i suoi migliori.
Vi lascio il mio commento e alcune frasi che mi hanno colpita.
"Questo
romanzo offre moltissimi spunti di riflessione.
La storia
è tutto sommato molto semplice, vi sono due famiglie ebree russe, una vive
nella parte alta della città e la sua ricchezza le consente di non patire mai,
di non temere i pogrom e il colera, poi vi è un’altra famiglia che vive nella
città bassa e vive degli espedienti del capo famiglia che si arrangia
trafficando e facendo il mediatore di piccoli affari.
Le due
famiglie si chiamano entrambe Sinner, hanno avuto origine dal medesimo nonno,
poi però le strade si sono divise e l’indole particolarmente portata agli affari
di un ramo familiare, unito a grandi dosi di fortuna, li ha portati in alto,
mentre gli altri sono rimasti in basso.
Lilla e
Ben con la loro madre Raisa vanno a vivere con il fratello del padre morto e la
loro cuginetta Ada, orfana pure lei, ma di madre. Si crea una famiglia atipica,
sempre sull’orlo del baratro. Un pogrom, che potrebbe metter fine alla loro
esistenza, dà l’inizio alla storia. Ben e Ada, sperduti nella città ,si
rifugiano nella ricca villa dei cugini Sinner e lì incontrano Harry, quasi loro
coetaneo, simile ma allo stesso tempo differente da loro.
Ada
rimarrà ossessionata da quel bambino e divenuta donna lo rincontrerà a Parigi,
divenendo lei stessa l’ossessione e il rifugio di Harry. Anche Ben è
strettamente legato a suo cugino, da un odio devastante che travalica i suoi
sentimenti per Ada, che pure sposa.
C’è un
gioco di specchi tra questi tre personaggi che riconoscono di avere origine
comune e se Ben disprezza e prova rancore per Harry, per la sua fortuna
immeritata, così Harry è attratto dall’oscura origine di questi due suoi cugini.
Il giovane ebreo ricchissimo ha paura di Ben, ma in fondo lo ammira, mentre per
Ada prova sentimenti forti, non è serenità stare con lei, è tormento continuo,
passione devastante. Ma è proprio questo tormento ciò che il suo essere brama e
che non è riuscito mai ad avere con la sua moglie francese, che pure ha amato
con perseveranza sconfiggendo tutti i pregiudizi borghesi sino a riuscire a
sposarla.
Harry
povero cane meticcio, che sente il richiamo del lupo ma a cui mancano le zanne,
che vive su di sé il dramma di chi non è più una sola razza, ben definita, non
ha una casa né un passato certo da cui trarre forza per il futuro. In bilico
tra la forza delle origini e la certezza della sua educazione francese.
Ben,
lupo che fiuta il pericolo, che sopravvive a tutti rimanendo sempre fedele a se
stesso, affamato di vita e di passione ma impossibile da saziare e da ammaestrare.
Ada che
non è una donna, che non vuole crescere, vorrebbe restare bambina rinchiusa nel
suo mondo irreale di pittura e amore (ma è proprio amore?) per Harry. È lei che
cambia, che riesce a modificare la sua natura e alla fine andare oltre il suo
sangue.
“I cani
e i lupi” è un romanzo sulla natura ebrea. Almeno questo era quello che Irène
Némirovsky scrisse.
Io trovo
che sia uno sguardo lucido su un popolo, il suo, fatto con amore e quanta più
obiettività possibile. Si avverte l’ammirazione per i lupi, per questi esseri
che possegono se stessi e non sono posseduti dagli oggetti, si avverte l’ansia
di appartenere completamente a una nazione, a un popolo, a una tradizione.
Nello stesso
tempo l’orgoglio di appartenere solo a se stessi e di gloriarsi delle proprie
ossessioni forti.
Magistrale
prova di analisi psicologica. Un romanzo come pochi."
pag. 187
"Vivi come su un'isola deserta" le diceva Harry.
"Ho sempre vissuto così. perchè attaccarsi a ciò che si deve perdere?".
"Ma perchè lo si deve perdere Ada?"
"Non lo so. E' il nostro destino. Mi è sempre stato strappato tutto".
"E io, allora? E io? Mi ami, non è vero? Tieni a me?"
"Tu sei un'altra cosa. Sono andata avanti per anni senza vederti, quasi senza conoscerti, e tu eri mio esattamente come adesso. Io, che sono abituata ad aspettarmi il peggio, non ho paura di perderti. Puoi dimenticarmi, abbandonarmi, lasciarmi, sarai sempre mio e solo mio. Ti ho inventato io, amore mio. Sei molto più che il mio amante. Sei una mia creatura. E' per questo che mi appartieni, quasi tuo malgrado"
pag. 187
"Ada gli procurava un alimento che fino allora nella sua vita era mancato, ma che gli era necessario, sia pure a sua insaputa: un ardore profondo, una passione interiore che rendeva preziose le minime gioie e riusciva a cavare dalle delusioni e dai dispiaceri una sorta di gaiezza amara e primitiva"
pag. 197
"In fondo, che cos'è per te la pittura? Vuoi costringere la gente a guardare attraverso i tuoi occhi; allo stesso modo io ho cercato di piegare il mondo alla mia immaginazione, ai miei desideri. Era questo che mi divertiva, questo!"
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