Ciao a tutti!
Le mie brevi vacanze romane sono terminate, nel viaggio ho finito di leggere un libro che mi ha sorpresa
Il mio rapporto con Carlos Ruiz
Zafòn è di amore-odio.
Dopo la folgorazione de “L’ombra del vento”, mi ero
tuffata ne “Il gioco dell’angelo” con il più grande entusiasmo, restandone
delusa.
Marina me l’hanno regalato e l’ho
tenuto per un po’, in attesa indecisa. Alla fine, spinta da commenti entusiasti
di un amico (sempre siano lodati gli amici lettori severi) l’ho iniziato.
L’ho letto con calma, scendendo
nelle sfumature gotiche del racconto e nei chiaro scuri della storia d’amore.
Zafòn è magistrale nelle descrizioni, mostra al lettore non solo i sentimenti
dei personaggi ma anche il mondo che li circonda. La visione delle figure
spettrali appese nella serra, il mare della gita invernale, il collegio, il
teatro. Sono stata catturata da quelle atmosfere, in cui l’ambiente è cassa di
risonanza della musica che i personaggi suonano nei passaggi del racconto.
Marina è senza alcun dubbio una
figura di donna eccezionale. Un carattere e una forza che affascinano come lo
stesso Kolvenich.
Ritorna la storia nella storia, tanto cara al narratore spagnolo, un’altra storia d’amore infelice che fa da
sfondo a quella principale.
Il fuoco purifica, il fuoco
distrugge, c’è un po’ una fissa in questo autore, come pure per il volto
deturpato e l’apoteosi delle deformità.
Se mi è permessa una strizzata d’occhio è per Maria Shelley: la madre di Frankestein ne diviene la figlia.
Una sottile ironia dell’autore probabilmente.
“Il territorio degli esseri umani
è la vita[…] La morte non ci appartiene” con questa frase, non a caso, fatta
pronunciare al dottor Shelley, si mette fine al fantastico e si piomba
nella dura realtà.
In tutto il libro vi è una parte
irreale, fantastica, horror, sottolineata dalla presenza costante delle candele,
della nebbia e da una certa avversione verso la modernità. L’atmosfera è uno
dei cardini del romanzo, tanto che a volte si stenta a capire di essere a fine
anni settanta.
“Del resto che razza di scienza è
quella che porta un uomo sulla Luna ma non è in grado di garantire un pezzo di
pane a tutti gli esseri umani?”
“Forse il problema non sta nella
scienza, ma in chi decide che uso farne” suggerii.
Ma nello stesso tempo Kolvenich è un personaggio fantascientifico che crede nell'uomo e di cambiare le ingiustizie della natura
Un romanzo che consiglio per gli
spunti di riflessione e il piacere della lettura. Ci sono delle frasi stupende,
non le riporto altrimenti dovrei ricopiare mezzo libro…
Solo un particolare mi ha lasciata perplessa.
Il gatto che all’inizio della storia era stato il preludio a
tutto quello che segue, nel finale sparisce o, meglio, non riappare. Si chiama Kafka e non credo che
Zafòn l’abbia chiamato così a caso…
Per finire, ma riguarda marginalmente il libro, ho iniziato una seria ricerca.
Visto che lo studio del medico, il dr. Shelley, era vicino alla statua di un drago mi sono incuriosita e così ho scoperto che a Barcellona ci sono quasi 400 rappresentazioni pittoriche e scultoree di draghi. Ne sono rimasta impressionata.
Sebbene tutte le città portuali siano ossessionate dagli incendi e il drago ne sia la massima rappresentazione per il suo essere sputafuoco, senza dimenticare che i draghi escono sempre dall'acqua, mi è parso veramente interessante questa presenza massiccia dell'essere leggendario in una terra molto cristiana.
Indagherò.
Molte delle cose che hai scritto non me le ricordo nemmeno xD La cosa dei draghi è affascinante. Di sicuro se ne potrebbe trarre un racconto o un romanzo.
RispondiEliminaUn saluto.
Davvero? ^^ ognuno di noi legge dei particolari più di altri, anzi forse leggiamo noi stessi mentre scorriamo le parole di una storia. Da molto medito un romanzo sui draghi ma non è ancora il momento, per il momento raccolgo informazioni. La ricerca è sempre affascinante ;) grazie Enrico di passare sempre per la mia isoletta!
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