Avviso di servizio
Il mio portatile è dal dottore e tra poco saprò se ce la farà a riprendere onorato servizio o se dovrò fargli il funerale.
Quindi il blog non sarà aggiornato, almeno finchè non riuscirò ad avere un computer.
Ora scrivo dal portatile di un amico che me l'ha prestato proprio per il minimo vitale.
Tornerò a trovarvi nei vostri blog, appena avrò il mezzo di trasporto.
Ciao a tutti!
Cronache di Gaia prende il nome dalla saga fantascientifica di Claudia Tonin. Ma è anche un blog in cui parlare di libri, film, mare, natura e ogni cosa le passi per la testa.
Cronache di Gaia.
Un luogo di viaggio e di passaggio, benvenuti!
giovedì 27 gennaio 2011
lunedì 24 gennaio 2011
Ishtar 2
Visto che ci sono i saldi, oggi 3x1 3 libri in 1 post!
I libri di Antonia Arslan.
Ishtar 2. Cronache da un risveglio
Ishtar 2 è un reparto di Rianimazione, dove Antonia Arslan, inghiottita dal coma all’improvviso, è stata ricoverata per 20 giorni, angoscianti per chi le voleva bene e spaventosi per lei, che forse non era così assente. Eppure in quella nuova dimensione la sua vita si è accesa come per incanto, l’ospedale si è fatto ora castello in cui si aggirano dolci presenze capaci di fugare paure e solitudine, ora giardino dove l’erba è un tappeto morbido. Il lento recupero ha avuto il sapore di una rinascita. La gola, come carta vetrata subito dopo il risveglio, ha ritrovato il respiro e restituito la voce a una generosa e affascinante cantastorie. Le sue dita si sono messe a correre sulla pagina trasformando quell’esperienza in racconto.
Ne sono nate queste pagine toccanti e allegre perché, persino tra le pareti di quella stanza d’ospedale, Antonia Arslan è rimasta una bambina capace di osservare il mondo con lo sguardo rapito di chi ancora non sa. Quello sguardo che le ha permesso di commuovere i suoi lettori narrando l’eccidio armeno e l’incendio di Smirne. E di dirci oggi ciò che ha visto dalle finestre di quel castello sul mare.
Commento di Booksblog
“Solo una lettera distingue Istar 2 – il nome di reparto di rianimazione – da Ishtar, “la dea del Pantheon assiro…colei che è chiamata l’Argentea, la Signora della Luce Risplendente”. E’ lo scarto fra realtà e sogni – visioni che sono “avventure del cuore” - separate solo dall’esile ‘terra di mezzo’ abitata dai nostri corpi. Basta un piccolo intoppo (un sassolino invadente, un ‘calcolo’ dicono i medici) e quelle porte si spalancano, per Antonia Arslan, la scrittrice autrice di La masseria delle allodole e la Strada di Smirne. Una mattina, mentre stava leggendo una recensione non positiva al suo libro, su un grosso giornale, infatti, succede: i dolori alla schiena insopportabile, il ricovero, la rianimazione.”
Chi è l’autrice?
Antonia Arslan è autrice di saggi fondamentali sulla narrativa popolare e la letteratura femminile tra Ottocento e Novecento. Ha riscoperto le proprie origini armene traducendo le opere del grande poeta Daniel Varujan.
Nel 2004 ha dato voce alle memorie familiari ne La masseria delle allodole, premiato con moltissimi riconoscimenti e tradotto in 15 lingue, da cui i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film.
La masseria delle allodole
Io mi sono seduta, un giorno di maggio, ad ascoltare e a scrivere. Ed è stato come intessere un tappeto.
Antonia Arslan racconta la storia di una famiglia armena (la sua famiglia) che nel maggio 1915 viene distrutta: gli uomini e i bambini maschi sono trucidati dai turchi e per le donne inizia un'odissea segnata da marce forzate, umiliazioni e crudeltà. È la diaspora, che porterà gli armeni a disperdersi nel mondo, conservando nel cuore la struggente nostalgia per una patria e una felicità perdute. La masseria delle allodole, con la sua prosa avvolgente, getta luce sulla storia di un popolo vittima del primo genocidio del ventesimo secolo, sopravvissuto grazie al coraggio delle sue donne straordinarie.
Un libro da leggere assolutamente per conoscere uno dei genocidi del secolo scorso. Magistrale la scrittura e tanta emozione. Non mi vergogno di dire che mi ha fatto piangere in molte parti. Di più non riesco a dire perché le forti emozioni che hanno accompagnato la lettura mi hanno impedito addirittura di vedere il film, quindi credo che la lettura personale di questo libro sia doverosa, soprattutto in questi giorni.
Nel 2009 esce La Strada di Smirne, seguito de “La masseria delle allodole”
È finita. La fuga è giunta alla sua conclusione. Al sicuro a bordo di una nave che li condurrà in Italia, Shushanig e i suoi quattro figli si lasciano alle spalle le atrocità che hanno sconvolto la loro vita e sterminato i loro cari e tante altre famiglie armene. Quello è il passato, racchiuso e conservato per sempre tra le pagine della Masseria delle allodole.
Ora una nuova storia incalza. Mentre in Italia i figli di Shushanig si adattano dolorosamente a una nuova realtà, Ismene, la lamentatrice greca che tanto ha fatto per strapparli alla morte, cerca di dare corpo all’illusione di salvare altre vite, prendendosi cura degli orfani armeni che vagano nelle strade di Aleppo, ostaggi innocenti di una brutalità che non si può dimenticare. Ma proprio quando nella Piccola Città dove tutto ha avuto inizio qualcuno torna per riprendere quel che gli appartiene, ogni speranza di ricostruire un futuro compromesso cade in frantumi.
La narrazione di Antonia Arslan stupisce per il coraggio di testimoniare fino in fondo le vicende di un popolo condannato all’esilio e per la capacità di dipingere un mondo vivo e pulsante di donne e uomini straordinari. Donne e uomini normali che hanno sofferto senza spezzarsi, attraversando le alte fiamme che, nell’incendio di Smirne, sembravano voler bruciare la speranza di una vita nuova.
E’ stato molto difficile portare a termine la lettura di questo libro.
Non perché fosse scritto male, anzi, non che la storia non fosse interessante, anzi.
Il romanzo è troppo coinvolgente.
E cosa c’è di male in questo? Di male c’è il fatto che fin dall’inizio sappiamo che la tragedia si compirà e migliaia di innocenti moriranno, che i nostri protagonisti avranno una morte orribile e ogni pagina avvicina il lettore all’orrore che pare senza fine, tipico dei genocidi.
A parte questa mia considerazione personale, il libro è stupendo.
Antonia Arslan, con perizia e perfetta conoscenza della lingua, narra ancora una volta la storia degli armeni e della loro lotta infinita per poter sopravvivere. Dopo La Masseria delle allodole, e la sua denuncia a livello mondiale del genocidio armeno ad opera dell’Impero Ottomano, con La strada di Smirne l’autrice racconta l’impossibile vita dei sopravvissuti e la semi sconosciuta distruzione di Smirne, la bella infedele. Dopo gli armeni e i turno dei greci soccombere di fronte al fanatismo del rinnovato governo turco.
Così Shusanig parte per l’Italia con le figlie e il piccolo Nubar, salvatosi solo perché vestito da bambina, lascia Ismene, la lamentatrice greca, il prete Isacco e il mendicante Nazim ad Aleppo e va verso la salvezza. Ma salvezza pare non esserci per nessuno. I sopravvissuti sono marchiati nell’anima dalla colpa di essere vivi e i giorni e le notti non possono che parzialmente lenire le sofferenze.
Shushanig muore sulla nave e i suoi figli orfani arrivano da parenti che non sanno e non possono capire l’orrore. Unica speranza è proprio Nubar, troppo piccolo per ricordare la sofferenza.
In Turchia Ismene ed Isacco continuano ad aiutare bambini armeni in un orfanotrofio e diventano, sposandosi, una vera famiglia con una cinquantina di figli. Alla fine della guerra vanno a Smirne, la città greca cosmopolita, così vicina alla nativa Chio di Ismene. Nazim rimarrà per un po’ ad Aleppo ma anche lui arriverà a Smirne.
L’autrice interviene in prima persona durante tutta la narrazione per avvertirci di non illuderci, Smirne deve bruciare, la Turchia è dei turchi, monito sinistro a cui la Storia piega la piccola storia dei protagonisti. Sfilano così persone comuni travolte dagli eventi, buoni e cattivi si mescolano oltre ogni apparenza e Nazim il mendicante turco è un eroe senza le medaglie molto più del codardo colonello francese che fugge nella notte. Le potenze occidentali vittoriose paiono già allora pronte ad accogliere il prossimo genocidio che di lì a vent’anni si compirà proprio in Europa.
Mai una condanna, mai un giudizio esplicito, l’imparzialità dell’autrice porta il lettore alle proprie profonde riflessioni. Ancora una volta Antonia Arslan compie il miracolo di far rivivere uomini e donne senza voce e di farli conoscere ai suoi lettori, rendendoli immortali.
I libri di Antonia Arslan.
Ishtar 2. Cronache da un risveglio
Ishtar 2 è un reparto di Rianimazione, dove Antonia Arslan, inghiottita dal coma all’improvviso, è stata ricoverata per 20 giorni, angoscianti per chi le voleva bene e spaventosi per lei, che forse non era così assente. Eppure in quella nuova dimensione la sua vita si è accesa come per incanto, l’ospedale si è fatto ora castello in cui si aggirano dolci presenze capaci di fugare paure e solitudine, ora giardino dove l’erba è un tappeto morbido. Il lento recupero ha avuto il sapore di una rinascita. La gola, come carta vetrata subito dopo il risveglio, ha ritrovato il respiro e restituito la voce a una generosa e affascinante cantastorie. Le sue dita si sono messe a correre sulla pagina trasformando quell’esperienza in racconto.
Ne sono nate queste pagine toccanti e allegre perché, persino tra le pareti di quella stanza d’ospedale, Antonia Arslan è rimasta una bambina capace di osservare il mondo con lo sguardo rapito di chi ancora non sa. Quello sguardo che le ha permesso di commuovere i suoi lettori narrando l’eccidio armeno e l’incendio di Smirne. E di dirci oggi ciò che ha visto dalle finestre di quel castello sul mare.
Commento di Booksblog
“Solo una lettera distingue Istar 2 – il nome di reparto di rianimazione – da Ishtar, “la dea del Pantheon assiro…colei che è chiamata l’Argentea, la Signora della Luce Risplendente”. E’ lo scarto fra realtà e sogni – visioni che sono “avventure del cuore” - separate solo dall’esile ‘terra di mezzo’ abitata dai nostri corpi. Basta un piccolo intoppo (un sassolino invadente, un ‘calcolo’ dicono i medici) e quelle porte si spalancano, per Antonia Arslan, la scrittrice autrice di La masseria delle allodole e la Strada di Smirne. Una mattina, mentre stava leggendo una recensione non positiva al suo libro, su un grosso giornale, infatti, succede: i dolori alla schiena insopportabile, il ricovero, la rianimazione.”
Chi è l’autrice?
Antonia Arslan è autrice di saggi fondamentali sulla narrativa popolare e la letteratura femminile tra Ottocento e Novecento. Ha riscoperto le proprie origini armene traducendo le opere del grande poeta Daniel Varujan.
Nel 2004 ha dato voce alle memorie familiari ne La masseria delle allodole, premiato con moltissimi riconoscimenti e tradotto in 15 lingue, da cui i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film.
La masseria delle allodole
Io mi sono seduta, un giorno di maggio, ad ascoltare e a scrivere. Ed è stato come intessere un tappeto.
Antonia Arslan racconta la storia di una famiglia armena (la sua famiglia) che nel maggio 1915 viene distrutta: gli uomini e i bambini maschi sono trucidati dai turchi e per le donne inizia un'odissea segnata da marce forzate, umiliazioni e crudeltà. È la diaspora, che porterà gli armeni a disperdersi nel mondo, conservando nel cuore la struggente nostalgia per una patria e una felicità perdute. La masseria delle allodole, con la sua prosa avvolgente, getta luce sulla storia di un popolo vittima del primo genocidio del ventesimo secolo, sopravvissuto grazie al coraggio delle sue donne straordinarie.
Un libro da leggere assolutamente per conoscere uno dei genocidi del secolo scorso. Magistrale la scrittura e tanta emozione. Non mi vergogno di dire che mi ha fatto piangere in molte parti. Di più non riesco a dire perché le forti emozioni che hanno accompagnato la lettura mi hanno impedito addirittura di vedere il film, quindi credo che la lettura personale di questo libro sia doverosa, soprattutto in questi giorni.
Nel 2009 esce La Strada di Smirne, seguito de “La masseria delle allodole”
È finita. La fuga è giunta alla sua conclusione. Al sicuro a bordo di una nave che li condurrà in Italia, Shushanig e i suoi quattro figli si lasciano alle spalle le atrocità che hanno sconvolto la loro vita e sterminato i loro cari e tante altre famiglie armene. Quello è il passato, racchiuso e conservato per sempre tra le pagine della Masseria delle allodole.
Ora una nuova storia incalza. Mentre in Italia i figli di Shushanig si adattano dolorosamente a una nuova realtà, Ismene, la lamentatrice greca che tanto ha fatto per strapparli alla morte, cerca di dare corpo all’illusione di salvare altre vite, prendendosi cura degli orfani armeni che vagano nelle strade di Aleppo, ostaggi innocenti di una brutalità che non si può dimenticare. Ma proprio quando nella Piccola Città dove tutto ha avuto inizio qualcuno torna per riprendere quel che gli appartiene, ogni speranza di ricostruire un futuro compromesso cade in frantumi.
La narrazione di Antonia Arslan stupisce per il coraggio di testimoniare fino in fondo le vicende di un popolo condannato all’esilio e per la capacità di dipingere un mondo vivo e pulsante di donne e uomini straordinari. Donne e uomini normali che hanno sofferto senza spezzarsi, attraversando le alte fiamme che, nell’incendio di Smirne, sembravano voler bruciare la speranza di una vita nuova.
E’ stato molto difficile portare a termine la lettura di questo libro.
Non perché fosse scritto male, anzi, non che la storia non fosse interessante, anzi.
Il romanzo è troppo coinvolgente.
E cosa c’è di male in questo? Di male c’è il fatto che fin dall’inizio sappiamo che la tragedia si compirà e migliaia di innocenti moriranno, che i nostri protagonisti avranno una morte orribile e ogni pagina avvicina il lettore all’orrore che pare senza fine, tipico dei genocidi.
A parte questa mia considerazione personale, il libro è stupendo.
Antonia Arslan, con perizia e perfetta conoscenza della lingua, narra ancora una volta la storia degli armeni e della loro lotta infinita per poter sopravvivere. Dopo La Masseria delle allodole, e la sua denuncia a livello mondiale del genocidio armeno ad opera dell’Impero Ottomano, con La strada di Smirne l’autrice racconta l’impossibile vita dei sopravvissuti e la semi sconosciuta distruzione di Smirne, la bella infedele. Dopo gli armeni e i turno dei greci soccombere di fronte al fanatismo del rinnovato governo turco.
Così Shusanig parte per l’Italia con le figlie e il piccolo Nubar, salvatosi solo perché vestito da bambina, lascia Ismene, la lamentatrice greca, il prete Isacco e il mendicante Nazim ad Aleppo e va verso la salvezza. Ma salvezza pare non esserci per nessuno. I sopravvissuti sono marchiati nell’anima dalla colpa di essere vivi e i giorni e le notti non possono che parzialmente lenire le sofferenze.
Shushanig muore sulla nave e i suoi figli orfani arrivano da parenti che non sanno e non possono capire l’orrore. Unica speranza è proprio Nubar, troppo piccolo per ricordare la sofferenza.
In Turchia Ismene ed Isacco continuano ad aiutare bambini armeni in un orfanotrofio e diventano, sposandosi, una vera famiglia con una cinquantina di figli. Alla fine della guerra vanno a Smirne, la città greca cosmopolita, così vicina alla nativa Chio di Ismene. Nazim rimarrà per un po’ ad Aleppo ma anche lui arriverà a Smirne.
L’autrice interviene in prima persona durante tutta la narrazione per avvertirci di non illuderci, Smirne deve bruciare, la Turchia è dei turchi, monito sinistro a cui la Storia piega la piccola storia dei protagonisti. Sfilano così persone comuni travolte dagli eventi, buoni e cattivi si mescolano oltre ogni apparenza e Nazim il mendicante turco è un eroe senza le medaglie molto più del codardo colonello francese che fugge nella notte. Le potenze occidentali vittoriose paiono già allora pronte ad accogliere il prossimo genocidio che di lì a vent’anni si compirà proprio in Europa.
Mai una condanna, mai un giudizio esplicito, l’imparzialità dell’autrice porta il lettore alle proprie profonde riflessioni. Ancora una volta Antonia Arslan compie il miracolo di far rivivere uomini e donne senza voce e di farli conoscere ai suoi lettori, rendendoli immortali.
venerdì 21 gennaio 2011
Commento e buon week end!
Come promesso ecco il mio commento a "Non tutti i bastardi sono di Vienna" di Andrea Molesini, il cui curriculum di narratore è veramente notevole.
Premetto che leggere di fatti che avvennero a pochi chilometri da casa mia, e conoscere tutte le località citate nel romanzo mi ha fatto un effetto stranissimo.
Il romanzo è ambientato nelle colline della riva sinistra del Piave.
La storia inizia nel novembre del 1917, il capitano Korpium, soldato del Kaiser, requisisce Villa Spada e i suoi abitanti si trovano relegati in poche stanze. La piccola storia di una famiglia nella grande storia del nostro paese.
Il giovane Paolo, nato nel 1900, non ha ancora compiuto quei diciotto anni che gli permetteranno di andare in guerra, come gli altri giovani nati un anno prima, il 1899.
Maria Sapda, donna bella, non più giovane per i parametri dell’epoca, sola, la vera signora della Villa tratterà da pari con il soldato tedesco e poi con l’austriaco. Potrà garantire la tranquillità dei suoi familiari.
Nonno Guglielmo Spada, cinico e anticlericale, che sta scrivendo un romanzo nel suo pensatoio e si ritira volentieri dalla concretezza del mondo lasciando alla moglie di origine inglese, Nancy, il compito di gestire l’offensiva domestica contro gli invasori.
Teresa la cuoca granitica, Loretta sua figlia, meno granitica e meno saggia, Renato il custode che è toscano e non parla in dialetto veneto ma sa molte cose sulla guerra e non è per nulla ciò che sembra.
Giulia, rossa, come il fuoco che le scorre nelle vene e macchiata dal suicidio di un innamorato.
Gli abitanti delle Villa, i signori di quelle terre, diventano prigionieri, come i loro contadini, delle angherie e della fame. Si oppongono con sdegno alla crudeltà verso le giovani del paese, verso il furto della campana.
Sostengono gli alleati come possono. Rischiano la vita e scoprono la fine dell’umanità, nel fango e nel sangue della battaglia del solstizio d’estate del 1918.
Il libro è scritto in prima persona con la voce narrante del giovane Paolo che ci mostra quell’ultimo anno della Grande Guerra proprio dal suo fronte. Vi sono pagine meravigliose di umanità e alcune teorie storiografiche ardite che mi hanno messo voglia di riprendere in mano i libri sulla Prima Guerra Mondiale.
C’è la profonda umanità dei personaggi, italiani e non. In particolare il barone Rudolph, decisamente poco adatto a comandare i soldati degli Asburgo nel fango della trincea. Eppure anche lui verrà trasformato dalla guerra e la sua amicizia con Maria non potrà mai continuare, perché se i vincitori possono dimenticare i perdenti no.
L’analisi di Molesini non riesce ad avere la profondità di Irèné Nemirovsky nel descrivere i rapporti tra invasori e occupati, ma riesce comunque a mostrare con chiarezza quale incredibile collante contro le divisioni sociali sia il nemico comune.
“Il barone parlava la mia lingua e quei contadini no, impugnava la forchetta e sollevava il bicchiere come facevo io, e quei contadini no, aveva letto molti libri che avevo letto io, e quei contadini non sapevano leggere, ma in quel momento sentii che la guerra, quella guerra di schifo, aveva messo me e quei contadini da una parte, il barone e i suoi dall’altra. E se in quel momento quei pezzenti avessero potuto metter mano alle forche avrebbero scannato il barone, e non noi, anche se l’astio che covavano per noi aveva più solidi motivi, e attraversava le generazioni.”
L’autore ci mostra come le donne riescano, anche in quella guerra, a portare avanti la vita di ogni giorno e a, letteralmente, raccogliere i pezzi degli uomini e ricostruire la società.
Non sono sicura di essere d’accordo con tutte le teorie presenti in questo romanzo, che di certo merita di essere letto, non solo per la storia, ma anche per la bella lingua usata e per i temi che tocca.
Buonissimo week end a tutti!
Premetto che leggere di fatti che avvennero a pochi chilometri da casa mia, e conoscere tutte le località citate nel romanzo mi ha fatto un effetto stranissimo.
Il romanzo è ambientato nelle colline della riva sinistra del Piave.
La storia inizia nel novembre del 1917, il capitano Korpium, soldato del Kaiser, requisisce Villa Spada e i suoi abitanti si trovano relegati in poche stanze. La piccola storia di una famiglia nella grande storia del nostro paese.
Il giovane Paolo, nato nel 1900, non ha ancora compiuto quei diciotto anni che gli permetteranno di andare in guerra, come gli altri giovani nati un anno prima, il 1899.
Maria Sapda, donna bella, non più giovane per i parametri dell’epoca, sola, la vera signora della Villa tratterà da pari con il soldato tedesco e poi con l’austriaco. Potrà garantire la tranquillità dei suoi familiari.
Nonno Guglielmo Spada, cinico e anticlericale, che sta scrivendo un romanzo nel suo pensatoio e si ritira volentieri dalla concretezza del mondo lasciando alla moglie di origine inglese, Nancy, il compito di gestire l’offensiva domestica contro gli invasori.
Teresa la cuoca granitica, Loretta sua figlia, meno granitica e meno saggia, Renato il custode che è toscano e non parla in dialetto veneto ma sa molte cose sulla guerra e non è per nulla ciò che sembra.
Giulia, rossa, come il fuoco che le scorre nelle vene e macchiata dal suicidio di un innamorato.
Gli abitanti delle Villa, i signori di quelle terre, diventano prigionieri, come i loro contadini, delle angherie e della fame. Si oppongono con sdegno alla crudeltà verso le giovani del paese, verso il furto della campana.
Sostengono gli alleati come possono. Rischiano la vita e scoprono la fine dell’umanità, nel fango e nel sangue della battaglia del solstizio d’estate del 1918.
Il libro è scritto in prima persona con la voce narrante del giovane Paolo che ci mostra quell’ultimo anno della Grande Guerra proprio dal suo fronte. Vi sono pagine meravigliose di umanità e alcune teorie storiografiche ardite che mi hanno messo voglia di riprendere in mano i libri sulla Prima Guerra Mondiale.
C’è la profonda umanità dei personaggi, italiani e non. In particolare il barone Rudolph, decisamente poco adatto a comandare i soldati degli Asburgo nel fango della trincea. Eppure anche lui verrà trasformato dalla guerra e la sua amicizia con Maria non potrà mai continuare, perché se i vincitori possono dimenticare i perdenti no.
L’analisi di Molesini non riesce ad avere la profondità di Irèné Nemirovsky nel descrivere i rapporti tra invasori e occupati, ma riesce comunque a mostrare con chiarezza quale incredibile collante contro le divisioni sociali sia il nemico comune.
“Il barone parlava la mia lingua e quei contadini no, impugnava la forchetta e sollevava il bicchiere come facevo io, e quei contadini no, aveva letto molti libri che avevo letto io, e quei contadini non sapevano leggere, ma in quel momento sentii che la guerra, quella guerra di schifo, aveva messo me e quei contadini da una parte, il barone e i suoi dall’altra. E se in quel momento quei pezzenti avessero potuto metter mano alle forche avrebbero scannato il barone, e non noi, anche se l’astio che covavano per noi aveva più solidi motivi, e attraversava le generazioni.”
L’autore ci mostra come le donne riescano, anche in quella guerra, a portare avanti la vita di ogni giorno e a, letteralmente, raccogliere i pezzi degli uomini e ricostruire la società.
Non sono sicura di essere d’accordo con tutte le teorie presenti in questo romanzo, che di certo merita di essere letto, non solo per la storia, ma anche per la bella lingua usata e per i temi che tocca.
Buonissimo week end a tutti!
MA-L'AMORE
Ho promesso un commento al libro di Andrea Molesini e lo farò.
Ora però vorrei condividere con voi la mia esperienza di ieri.
Sono andata ad ascoltare la bravissima Nicoletta Maragno nel suo recital intitolato MA-L'AMORE.
“Ma-l’amore” è il racconto di storie, storie vere, vissute: di donne che fanno sentire la loro voce, testimoniando come la violenza abbia tante facce: da quella subita tra le mura di casa, a quella psicologica di chi ti piega al suo volere, a quella infine assodata e accettata come fatto culturale.
E’ un modo per rompere il silenzio, per guardare il problema direttamente con gli occhi di chi l’ha vissuto sulla propria pelle, per infrangere i muri di omertà che spesso diventano prigioni, per fare emergere quella sorta di terra di nessuno, in cui si è prive di qualunque riferimento alternativo….
Lo spettacolo si articola in sei temi inerenti «La storia di un abuso», che si rifà ad una violenza subita durante la preadolescenza, «Spaghetti al sugo», violenza domestica in costante aumento, «L'amante segretaria», che corre in modo comico sulla sopportazione delle donne, «La fidanzata di Allah» violenza psicologica», «La storia di Suad» violenza culturale, e «L'autostima delle donne», brevi flash comici che ironizzano sulla scarsa capacità di autotutela delle donne. «Percorrere questo itinerario - sostiene Nicoletta Maragno - è un modo per rompere il silenzio, per guardare il problema direttamente con gli occhi di chi l'ha vissuto sulla propria pelle, per infrangere i muri di omertà che spesso diventano prigioni, per fare emergere quella sorta di terra di nessuno, in cui si è prive di qualunque riferimento alternativo...». Padovana di nascita, Maragno si è diplomata nel 1990 alla «Scuola di Teatro» diretta da Giorgio Strehler del Piccolo Teatro di Milano, entrando quindi a far parte della compagnia del Piccolo spesso in qualità di attrice-cantante.
Collabora con l'Università di Padova con lavori e recital teatrali su temi di interesse sociale legati alle politiche di genere e alle pari opportunità.
Si tratta di una rappresentazione, con proiezioni video, testimonianze, canzoni delle molteplici sfaccettature che può assumere la violenza sulle donne.
L'attrice Nicoletta Maragno, è una grandissima professionista.
Durante lo spettacolo di un'ora e mezza si piange e si ride, si pensa.
Forse quello che più mi fa pensare sono le date e i numeri che scorrono sul palco.
I numeri della violenza sono tali e tanti da far rizzare i capelli in testa.
Per non parlare delle date.
1981 fine del cosiddetto "delitto d'onore"
1996 la legge riconosce lo stupro come reato contro la persona e non contro la morale pubblica.
1996!!!
L'interpretazione magistrale della bravissima attrice ci fa entrare nell'animo di queste donne, ci immedesimiamo con loro, soffriamo con loro.
La storia di Suad, in particolare, è sconvolgente.
Con mia somma gioia ieri sera ho saputo che il recital riceverà un premio molto importante, con la consegna delle chiavi della città di Padova e sono felicissima.
Naturalmente, visto che lo spettacolo sta girando per tutto il Veneto, se siete in zona, andateci!
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giovedì 20 gennaio 2011
Non tutti i bastardi sono di Vienna - citazione
Ho finito di leggere "Non tutti i bastardi sono di Vienna".
Domani penso che gli dedicherò una recensione come si deve.
Per oggi voglio regalarvi una delle pagine più significative scritte da Andrea Molesini:
"Il mondo che si va preparando non piacerà a voi più che ame: non ci sarà posto per la pietà, nè per quella gentilezza dei modi a cui tanto...teniamo. COn la vostra severitàvoi credete di fare giustizia, ma è vero il contrario, barone, voi aprite la strada a un tempo in cui il caporale si farà generale, e il popolo si prenderà gioco di noi, di voi...perchè noi siamo figli del cavallo, non dell'aeroplano...". La zia era un turbine, e io, appiccicato alla sedia, l'ascoltavo ammirato. "Ma quando i notri modi cortesi non ci saranno più, quando il superfluo verrà disprezzzato, e la fretta sarà sovrana del mondo, uomini sciocchi e brutali avranno lo scettro e così, quando il diluvio verrà, l'arca non sarà stata approntata".
"Madame...madame...".
Donna Maria andò alla porta, l'aprì. Ma prima di uscire si voltò, aveva la tempesta negli occhi: "Che Dio ti maledica, Rudolf von Feilitzsch!".
Domani penso che gli dedicherò una recensione come si deve.
Per oggi voglio regalarvi una delle pagine più significative scritte da Andrea Molesini:
"Il mondo che si va preparando non piacerà a voi più che ame: non ci sarà posto per la pietà, nè per quella gentilezza dei modi a cui tanto...teniamo. COn la vostra severitàvoi credete di fare giustizia, ma è vero il contrario, barone, voi aprite la strada a un tempo in cui il caporale si farà generale, e il popolo si prenderà gioco di noi, di voi...perchè noi siamo figli del cavallo, non dell'aeroplano...". La zia era un turbine, e io, appiccicato alla sedia, l'ascoltavo ammirato. "Ma quando i notri modi cortesi non ci saranno più, quando il superfluo verrà disprezzzato, e la fretta sarà sovrana del mondo, uomini sciocchi e brutali avranno lo scettro e così, quando il diluvio verrà, l'arca non sarà stata approntata".
"Madame...madame...".
Donna Maria andò alla porta, l'aprì. Ma prima di uscire si voltò, aveva la tempesta negli occhi: "Che Dio ti maledica, Rudolf von Feilitzsch!".
mercoledì 19 gennaio 2011
Emilio Salgari
Nel 2011 ricorrono i 100 anni dalla morte di Emilio Salgari.
Serve dire chi era? Forse sì, perchè spesso la leggenda di un autore è infarcita di imprecisioni. Mi pare che la voce di Wiki sia fatta molto bene, se vorrete la potete leggere qui
Verona, che gli ha dato i natali, pensa a delle commemorazioni in suo onore.
Ho trovato questo articolo su "Il Gazzettino" firmato da Roberto Bertinetti
e mi è sembrato molto dettagliato e vorrei condividerlo con voi
Il 2011 si apre all’insegna delle celebrazioni salgariane. Cade, infatti, il centenario della morte dello scrittore e a Verona, la sua città natale, sono in calendario numerose iniziative. Si comincia il 28 gennaio: Paolo Ignacio Taibo II riceverà il premio “Ilcorsaronero” e, insieme a Pino Cacucci, presenterà il suo libro Ritornano le tigri della Malesia (Marco Tropea), pochi giorni dopo la Newton Compton proporrà in un unico volume, a cura di Sergio Campailla, Tutte le avventure di Sandokan mentre Einaudi annuncia per la prossima primavera Disegnare il vento di Ernesto Franco, un romanzo biografico sul narratore che al ritmo di tre nuovi testi all’anno fece sognare milioni di lettori tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, utilizzando un esotismo di maniera ma senza dubbio efficace.
Quanto a lui, come è ormai ampiamente noto, di viaggi ne fece uno solo, durato poche settimane: aveva da poco compiuto diciotto anni (era nato nel 1862) e a bordo del trabaccolo Italia Una ridiscese l’Adriatico da Venezia sino a Brindisi. In seguito quella modestissima esperienza venne trasfigurata e riempita di atti eroici, di straordinarie avventure. Nelle pagine autobiografiche e nelle interviste Salgari sostenne di essersi guadagnato addirittura il comando della nave grazie alle sue doti di marinaio. Mentre è provato che sul trabaccolo fu solo ospite, e forse neppure tanto gradito.
«Io - precisò quando era all'apice della fama - ho provato emozioni non comuni e non comprensibili per chi sta comodamente seduto a casa sua. Dopo aver navigato sulla topaia chiamata Italia Una ho viaggiato molto, arrivando sino allo stretto di Bering. Ho visto il mondo fumando una montagna di tabacco. In un viaggio stetti sei mesi in navigazione, con una sola breve fermata a Ceylon perché crivellato dai rosicanti».
In un periodo segnato dal grande interesse per le esplorazioni e le fantasie esotiche Salgari si guadagnò in fretta il consenso del pubblico . A mettere in dubbio la veridicità delle sue affermazioni fu soltanto Giuseppe Biasioli, giornalista del quotidiano veronese “L'Adige”, che nel 1885 pronunciò alcune frasi giudicate irriguardose e venne sfidato a duello. I due si affrontarono in un caldo pomeriggio di settembre in aperta campagna e Salgari ebbe la meglio, riuscendo a ferire l'avversario.
Le bugie vennero alla luce solo molti anni più tardi, quando lo scrittore era già morto. Si scoprì che le avventure erano tutte inventate a tavolino, frutto di lunghe ore trascorse leggendo le testimonianze di autentici viaggiatori o di fronte a carte geografiche. «Anche Luigi Motta - rilevava Giovanni Arpino in una biografia apparsa alcuni anni fa - ricorse allo stesso trucco. Ma nessuno come Emilio riuscì a essere così pervicace, coerente, autoplagiato nel personaggio del navigatore tempestoso, impavido scorritore di tutti gli oceani».
Salgari iniziò giovanissimo a costruirsi la propria privata leggenda, quando lavorava al giornale veronese "L'Arena". Lo conferma un volume curato da Silvino Gonzato per Marsilio (Una tigre in redazione) nel quale sono raccolti articoli pubblicati tra il 1884 e il 1893. «Anche nella cronaca del piccolo evento – sottolinea Gonzato - Salgari si fa prendere la mano dal romanziere che sta germinando in lui». E infatti oltre a presentarsi al lavoro con in testa un turbante da maharajah fatto in casa - anni più tardi a Torino amava farsi sorprendere dai visitatori in vesti da pirata, sguainando la sciabola - non perdeva occasione per ricordare ai lettori che i protagonisti degli spettacoli strani o esotici proposti a Verona gli erano ben noti, che nulla poteva essere sconosciuto a un uomo come lui che tanto aveva viaggiato in terre lontane.
«La corsa fatta per la città dai singalesi in otto landeaux - spiega - aveva destato nel pubblico la più viva curiosità, sicché quando mi recai all’anfiteatro trovai una folla straordinaria che si pigiava alle porte d'ingresso, specialmente in quelle dei primi e dei secondi posti. Una stecconata era stata costruita in mezzo alla platea, terminata da due capannucce di tavole col tetto coperto di foglie di coccattiero uguali a quelle già da me vedute nelle foreste di Colombo».
Scorrendo il volume gli esempi si moltiplicano. Una canzone cantata da una danzatrice orientale «è la stessa che io avevo udito diverse volte verso sera, una sorta di lode a Buddha», in un articolo su sua madre chiama in causa «i baci ardenti che ella mi dava quando, uscito vivo dalle tempeste sul mare, dopo lunghi mesi di ansie, tornavo tra le sue braccia», a un ufficiale reduce dall'Africa chiede notizie del porto di Massaua, precisando «tre anni or sono, quando ci fui, aveva non troppa acqua».
Si trattava di semplici manie di grandezza? Non lo crede uno psichiatra che alcuni anni fa ha diagnosticato in Salgari un caso tipico di mitomania sfociata nella paranoia. Come definire, del resto, un uomo che giurava al proprio medico di essersi preso le febbri in India, che firmava le lettere alla fidanzata “il tuo selvaggio malese”, che quando accompagnava i figli a passeggiare in collina nei pressi di Torino li avvertiva di guardarsi dalle tigri nascoste dietro i cespugli.
Ma proprio facendo leva su simili fantasticherie, ha puntualizzato Claudio Magris, divenne un grande scrittore: «Egli è un piccolo, imperfetto ma inconfondibile maestro nell’arte di fondare l'unità del mondo della parola. La narrativa salgariana è un’elementare introduzione all’epica, la rappresentazione di un mondo integro e significativo in ogni particolare, è la continuità della vita e del racconto che la tramanda, è la storia che non finisce mai».
In qualche circostanza, tuttavia, Salgari riuscì a mettere da parte il suo finto esotismo e misurarsi con altre tematiche. Accadde, ad esempio, in Le meraviglie del Duemila (in catalogo da Viglongo), un romanzo del 1907 nel quale, sulla scia di quanto fatto in Francia da Jules Verne, racconta il futuro di una umanità affascinata da nuovi mezzi di comunicazione e da continue scoperte tecnologiche.
Il libro merita di esser letto perché Salgari riesce a indovinare molte delle caratteristiche della società attuale e per l’intelligenza dimostrata nel disegnare uno scenario politico sulla soglia del terzo millennio segnato da una sorta di equilibrio del terrore tra le grandi potenze dopo l’uso della bomba atomica ( che lui chiama “silurite” ). «L'inventore di tante storie incredibili - ha commentato Giorgio Calcagno - narra la sua sola storia credibile senza rendersene conto: l’angoscia dell'uomo moderno che, dominato dalla tecnica, rischia di perdere se stesso».
La stessa angoscia - sia pure originata da motivi diversi - stava intanto distruggendo Salgari. E così mentre il pubblico di inizio Novecento divorava le avventure di Sandokan, il loro creatore lottava per uscire dal labirinto che lui stesso si era costruito intorno. Ma le condizioni economiche non gli consentirono la fuga: viveva di anticipi e doveva continuare a scrivere. Sino a quando la routine delle ore passate a tavolino non lo travolse e decise di suicidarsi. Era l’aprile del 1911, il suo corpo fu rinvenuto nei pressi di Torino, lacerato da colpi di rasoio. Fino all’ultimo restò comunque fedele al personaggio che si era scelto: si diede infatti la morte “seguendo il rituale malese”, precisarono i cronisti raccontando il triste epilogo della sua vita.
Esiste un gruppo in Facebook e vi sono aggiornamenti sugli eventi collegati alle celebrazioni dello scrittore, se volete potete darci un'occhiata.
martedì 18 gennaio 2011
Perplessità
Rompo la consuetudine del blog letterario per farlo diventare un diario di pensieri.
Se volete potete non leggere, è solo una mia riflessione.
Prima il divieto di lettura nelle biblioteche, seguito dalla mancata indignazione per atti indegni, poi il silenzio assordante sulla mancanza di risorse economiche indispensabili, infine l'ennesima morte in guerra senza essere in guerra.
I fatti di questi giorni mi inducono a usare questo spazio per esprimere tutte le mie perplessità.
La prima è semplice, possibile che ogni stolto che si sveglia la mattina abbia la possibilità di dire quello che pensa, e fin qui tutto bene, ci mancherebbe, ma che ogni mezzo di comunicazione riprenda le fandonie dello stolto e lo pubblicizzi come fosse la cura del cancro, divenendo la grancassa della stupidità?
Perchè?
La seconda perplessità è sulla rassegnazione, la costante, umida, rassegnazione.
Mi viene in mente Ligabue che canta, "a chi alla nebbia si è già rassegnato".
Tutti buttano negli occhi fumo e sperano che ci perdiamo in questo fumo.
La tragedia è che hanno ragione. Ci rassegnamo a restare nel fumo e non vedere mai chiaro nelle cose.
Perchè? Abbiamo paura? E di che cosa?
La terza, ma non ultima perplessità, è sull'arroganza di chi dovrebbe servire.
Possibile che si pensi veramente che siamo tutti stupidi?
Per questo, al di là di qualsiasi presa di posizione politica, vorrei dire che chi affermò che il problema non era il cavaliere ma il cavallo, aveva ragione.
I veterinari abbattono i cavalli malati, feriti e in fin di vita.
Il nostro cavallo è arrivato a questo punto?
lunedì 17 gennaio 2011
Indecisa cronica
Chi mi conosce meglio di chiunque altro mi ha dedicato questa canzone,
con affetto!
E' impossibile restare fermi ascoltandola, e mi piace un sacco, con annessi e connessi
Per la cronaca io sono Alexander che fugge dalla chiesa ^___^
con affetto!
E' impossibile restare fermi ascoltandola, e mi piace un sacco, con annessi e connessi
Per la cronaca io sono Alexander che fugge dalla chiesa ^___^
domenica 16 gennaio 2011
Al cuore delle cose
Al cuore delle cose è il primo romanzo di Ilenia Marin, donna di straordinaria intelligenza, già curatrice di importati pubblicazioni dedicate al poeta Biagio Marin, e ora narratrice di sentimenti profondi.
Il libro è uscito da pochi giorni per i tipi di 0111 Edizioni e io sono felice di averne appena concluso la lettura.
La quarta di copertina ci dice che
"Al cuore delle cose" racconta i movimenti dell'anima di tre donne unite da un luogo, da una stagione e dall'urgenza emotiva di dare un senso al proprio percorso personale. Rimanere, tornare e partire (movimenti fisici che accompagnano il corpo nei luoghi del mondo) diventano l'occasione per intraprendere un viaggio interiore che porterà le tre protagoniste a scavare dentro la vita, alla ricerca ognuna della propria strada. Asolo, antico borgo medievale trevigiano illuminato dai prodromi colorati dell'autunno, allarga i suoi confini fisici fino a diventare un meta-luogo, il luogo che comprende tutte le strade e i percorsi possibili da seguire per raggiungere la verità personale.
Ai frequentatori di aNobii dico che ho appena fatto la richiesta di inserimento della scheda. Di certo i bravissimi Librarian lo inseriranno presto.
Io l'ho letto oggi, e gli consegno cinque stelle virtuali e questo piccolo commento.
Asolo. Questo breve romanzo è una dichiarazione d’amore ad Asolo. Di cui scorgiamo fin dalla copertina, le fattezze lontane.
La natura, i ricordi, i luoghi dell’anima come unica consolazione e come bussola per ritrovare la via.
La leggiadria pesante che si avverte leggendo il libro si risolleva solo nel finale, un ristoratore ritorno a casa che permette di liberarci dai nostri pesi e di pensare al futuro.
Un libro coraggioso scritto in una lingua originale, fiorita e accurata. Con descrizioni del sentire umano e del vivere quotidiano. Un tuffo nelle emozioni e nei ricordi.
Tre racconti apparentemente slegati che convergono nella riappacificazione di sé, conclusiva.
Eleonora e l’ansia dell’amare che diventa scoperta di sé e riscoperta dell’arte.
Maria e la paura del tempo perduto e soprattutto di perdere preziosissimo tempo.
Caterina e la leggera consapevolezza che tutti dobbiamo avere radici per potere spiccare il volo.
Tre donne, tre modi diversi di vivere e di sentire, tre estranee toccate dalla bellezza superba di Asolo e da essa plasmate e salvate.
Un libro che merita di certo un premio letterario per la pienezza della scrittura e del sentimento.
Un grazie all’autrice per averlo scritto, con coraggio e gioia di vivere.
sabato 15 gennaio 2011
Take on me
Anche se per me è già andato buon week end a tutti!
Oggi pomeriggio ho sentito per radio una canzone che mi ha riportato in profondità negli anni Ottanta.
Take on me degli A-Ha
Che ricordi!
Ero una ragazzina ma giuro che sarei andata in Norvegia a piedi pur di incontrare Morten Harket, altro che Simon Le Bon!
Sì, sono sempre stata strana, quando tutti impazzivano per i bravissimi Duran Duran, io ascoltavo solo gli A-ha (vabbè c'era anche una ragazzina tondetta con le ascelle non depilate e gli orecchini a croce che cercava disperatamente una tal Susan...)
Comunque riguardando il video mi sono resa conto che uno dei miei personaggi me lo sono sempre immaginata con gli occhi di Morten e leggendo Wikipedia, scopro che i Coldplay, che adoro, si sono ispirati proprio agli A-ha.
A volte nella vita basta seguire un filo...
Oggi pomeriggio ho sentito per radio una canzone che mi ha riportato in profondità negli anni Ottanta.
Take on me degli A-Ha
Che ricordi!
Ero una ragazzina ma giuro che sarei andata in Norvegia a piedi pur di incontrare Morten Harket, altro che Simon Le Bon!
Sì, sono sempre stata strana, quando tutti impazzivano per i bravissimi Duran Duran, io ascoltavo solo gli A-ha (vabbè c'era anche una ragazzina tondetta con le ascelle non depilate e gli orecchini a croce che cercava disperatamente una tal Susan...)
Comunque riguardando il video mi sono resa conto che uno dei miei personaggi me lo sono sempre immaginata con gli occhi di Morten e leggendo Wikipedia, scopro che i Coldplay, che adoro, si sono ispirati proprio agli A-ha.
A volte nella vita basta seguire un filo...
giovedì 13 gennaio 2011
Meme
Giovedì!
Dai che abbiamo scollinato e il week end si avvicina ;)))
Oggi volevo parlarvi di un film, ma mi è arrivato il gentile invito dal blog Le mele del silenzio del bravissimo Vocedelsilenzio a partecipare a un meme.
Che cos'è un meme?
Se leggete "IL ragazzo con gliocchi blu" lo scoprirete ^_^
Ma per affrettare i tempi uso le parole di Voce(non ti arrabbi se copio, vero?)
"un meme è un mini questionario che un blogger passa ad altri cinque blogger, ovviamente dopo aver specificato da chi lo ha ricevuto e chi vuole coinvolgere."
Appena ho letto le domande mi è molto piaciuto e quindi ringrazio Voce e coinvolgo:
MP Black di Elfi Draghi Streghe, Fabrizio Valenza de Pagine di Fabrizio Valenza, Ilenia Marin de La verità è permeabile,
SybilVane de Young Adult Lit, Francesca de The 4th Avenue Cafe
Sperando che vogliano proseguire il meme e non si arrabbino troppo :))
Ed ecco le mie risposte:
Quanti libri hai letto nel 2010?
Naturalmente ho consultato aNobii: 61 libri, 19825 pagine
Quanti erano fiction e quanti no?
Tanti, ma va bene così!
Quanti scrittori e quante scrittrici?
37 uomini e 24 donne
Il miglior libro letto?
La domanda più difficile. Penso "Due" di Irène Némirovsky ma preferirei non fare classifiche.
E il più brutto?
Non leggo libri brutti, al massimo li inizio e poi li lascio lì. Ce ne sono troppi di belli per perdere tempo con quelli brutti ^_^
Il libro più vecchio che hai letto?
Ho riletto "Il Grande Gasby" che è del 1925, ma tra le nuove letture sempre "Due" che è del 1936.
E il più recente?
"Si era alzato il vento" di Marcello Loprencipe e Annalisa Polucci
Quale il libro col titolo più lungo?
I più lunghi sono "Vita, amori, avventure veneziane di messer Gatto con gli stivali" di Fabio Visintin e Angela Carter e "Progetto di legge per vietare alle donne di im parare a leggere" Sylvain Maréchal
E quello col titolo più corto?
Di nuovo "Due" di Irène Némirovsky.
Quanti libri hai riletto?
"Commesse di Treviso" di Fulvio Ervas e "Il grande Gasby", per l'ennesima volta. Ma non per l'ultima.
E quali vorresti rileggere?
Ho appena iniziato la rilettura di "Suite francese" di Irène Némirovsky. Penso rileggerò "Si era alzato il vento". Mi piace molto rileggere.
I libri più letti dello stesso autore quest'anno?
Jacqueline Carey, una scoperta, ne ho letti 6.
Quanti libri scritti da autori italiani?
Mantenendo il proposito preso nel gennaio 2010 ho letto più italiani che stranieri: 36!
E quanti dei libri letti sono stati presi in biblioteca?
Una decina circa
Dei libri letti quanti erano ebook?
uno, ed è stata una fatica leggerlo al pc.
Dai che abbiamo scollinato e il week end si avvicina ;)))
Oggi volevo parlarvi di un film, ma mi è arrivato il gentile invito dal blog Le mele del silenzio del bravissimo Vocedelsilenzio a partecipare a un meme.
Che cos'è un meme?
Se leggete "IL ragazzo con gliocchi blu" lo scoprirete ^_^
Ma per affrettare i tempi uso le parole di Voce(non ti arrabbi se copio, vero?)
"un meme è un mini questionario che un blogger passa ad altri cinque blogger, ovviamente dopo aver specificato da chi lo ha ricevuto e chi vuole coinvolgere."
Appena ho letto le domande mi è molto piaciuto e quindi ringrazio Voce e coinvolgo:
MP Black di Elfi Draghi Streghe, Fabrizio Valenza de Pagine di Fabrizio Valenza, Ilenia Marin de La verità è permeabile,
SybilVane de Young Adult Lit, Francesca de The 4th Avenue Cafe
Sperando che vogliano proseguire il meme e non si arrabbino troppo :))
Ed ecco le mie risposte:
Quanti libri hai letto nel 2010?
Naturalmente ho consultato aNobii: 61 libri, 19825 pagine
Quanti erano fiction e quanti no?
Tanti, ma va bene così!
Quanti scrittori e quante scrittrici?
37 uomini e 24 donne
Il miglior libro letto?
La domanda più difficile. Penso "Due" di Irène Némirovsky ma preferirei non fare classifiche.
E il più brutto?
Non leggo libri brutti, al massimo li inizio e poi li lascio lì. Ce ne sono troppi di belli per perdere tempo con quelli brutti ^_^
Il libro più vecchio che hai letto?
Ho riletto "Il Grande Gasby" che è del 1925, ma tra le nuove letture sempre "Due" che è del 1936.
E il più recente?
"Si era alzato il vento" di Marcello Loprencipe e Annalisa Polucci
Quale il libro col titolo più lungo?
I più lunghi sono "Vita, amori, avventure veneziane di messer Gatto con gli stivali" di Fabio Visintin e Angela Carter e "Progetto di legge per vietare alle donne di im parare a leggere" Sylvain Maréchal
E quello col titolo più corto?
Di nuovo "Due" di Irène Némirovsky.
Quanti libri hai riletto?
"Commesse di Treviso" di Fulvio Ervas e "Il grande Gasby", per l'ennesima volta. Ma non per l'ultima.
E quali vorresti rileggere?
Ho appena iniziato la rilettura di "Suite francese" di Irène Némirovsky. Penso rileggerò "Si era alzato il vento". Mi piace molto rileggere.
I libri più letti dello stesso autore quest'anno?
Jacqueline Carey, una scoperta, ne ho letti 6.
Quanti libri scritti da autori italiani?
Mantenendo il proposito preso nel gennaio 2010 ho letto più italiani che stranieri: 36!
E quanti dei libri letti sono stati presi in biblioteca?
Una decina circa
Dei libri letti quanti erano ebook?
uno, ed è stata una fatica leggerlo al pc.
mercoledì 12 gennaio 2011
Non tutti i bastardi sono di Vienna
Tra i miei regali di Natale, c'era anche questo piccolo libro.
L'ho appena iniziato ma zia Maria mi ha già conquistata, per non parlare dello stile dell'autore!
Molto, molto interessante.
Vi anticipo un po' di notizie, in attesa di darvi la mia opinione definitiva...
Andrea Molesini
Non tutti i bastardi sono di Vienna
Villa Spada, a un tiro di voce dal Piave, nei giorni della disfatta di Caporetto diventa dimora del comando austriaco e teatro di un dramma romantico e patriottico disteso su un fondo nascosto di miserie. Un apologo malinconico sull’illusione degli eroi.
376 pagine 14.00 Euro ISBN 88-389-2500-3
«Maggiore, la guerra è assassinio, sempre... voi ora volete solo dare un esempio: uccidere dei signori non è come uccidere dei contadini! Negando la grazia voi contribuite... sto dicendo voi, barone von Feilitzsch, perché qui ci siete voi... contribuite a distruggere la civiltà di cui voi ed io... e questo ragazzo... facciamo parte, e la civiltà è più importante del destino degli stessi Asburgo, o dei Savoia». Orgoglio, patriottismo, odio, amore: passioni pure e antiche si mescolano e si scontrano tra loro, intorbidate più che raffrenate dal senso, anch’esso antico, di reticenza e onore. Villa Spada, dimora signorile di un paesino a pochi chilometri dal Piave, nei giorni compresi tra il 9 novembre 1917 e il 30 ottobre 1918: siamo nell’area geografica e nell’arco temporale della disfatta di Caporetto e della conquista austriaca. Nella villa vivono i signori: il nonno Guglielmo Spada, un originale, e la nonna Nancy, colta e ardita; la zia Maria, che tiene in pugno l’andamento della casa; il giovane Paolo, diciassettenne, orfano, nel pieno dei furori dell’età; la giovane Giulia, procace e un po’ folle, con la sua chioma fiammeggiante. E si muove in faccende la servitù: la cuoca Teresa, dura come legno di bosso e di saggezza stagionata; la figlia stolta Loretta, e il gigantesco custode Renato, da poco venuto alla villa. La storia, che il giovane Paolo racconta, inizia con l’insediamento nella grande casa del comando militare nemico. Un crudo episodio di violenza su fanciulle contadine e di dileggio del parroco del villaggio, accende il desiderio di rivalsa. Un conflitto in cui tutto si perde, una cospirazione patriottica in cui si insinua lo scontro di psicologie, reso degno o misero dall’impossibilità di perdonare, e di separare amore e odio, rispetto e vittoria. E resta un senso di basso orizzonte, una claustrofobia, che persiste ironicamente nel contrasto con lo spazio immenso delle operazioni di guerra.
Andrea Molesini è nato e vive a Venezia. Ha curato e tradotto opere di poeti americani: Ezra Pound, Charles Simic, Derek Walcott. Ha scritto storie per ragazzi tradotte in varie lingue. Non tutti i bastardi sono di Vienna è il suo primo romanzo.
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lunedì 10 gennaio 2011
New look
Mi hanno regalato un quadrifoglio!
Ho tanto bisogno di fortuna ^__________^
Ho pensato di cambiare tutto lo sfondo e dedicarlo a un amico che abita i boschi, almeno finchè non tornerà la primavera e con essa la mia bella isola di Estreira.
Intanto godiamoci il quadrifoglio!
Lo regalo a voi e che porti fortuna a tutti quelli che passano a trovarmi!
Ho tanto bisogno di fortuna ^__________^
Ho pensato di cambiare tutto lo sfondo e dedicarlo a un amico che abita i boschi, almeno finchè non tornerà la primavera e con essa la mia bella isola di Estreira.
Intanto godiamoci il quadrifoglio!
Lo regalo a voi e che porti fortuna a tutti quelli che passano a trovarmi!
Le ore
Michael Cunningham
Le Ore
"La bellezza di questo libro sta nella sua conoscenza del cuore, del sesso, della vita, della inafferrabilità della vita, tutto. Erano anni che non leggevo un romanzo così bello, così profondo, provvisto di tale qualità letteraria."
Giorgio Montefoschi
Solo la letteratura può restituire un senso alle nostre vite confuse e sghembe. Anzi, la letteratura è il solo specchio dentro cui la vita, riflettendosi, giunge per un momento a dire se stessa. E' l'idea centrale di questo romanzo misteriosamente bello. Tre donne lo abitano. La prima è una donna famosa, una scrittrice famosa: Virginia Woolf, ritratta a un passo dal suicidio, nel 1941, e poi, a ritroso nel tempo, mentre gioca col demone della sua scrittura. Le altre due sono donne che abitano luoghi e tempi diversi. Clarissa Vaughan, un editor newyorkese di oggi, colta nel giorno in cui darà una festa per Richard, l'amico amatissimo, forse l'unico vero amore, che adesso sta morendo di Aids.
E Laura Brown, una casalinga californiana dell'immediato dopoguerra, bella e inquieta, desiderosa di fuggire via per un giorno, un giorno soltanto, via dalla noia di un matrimonio ordinario, così ordinario. Che cosa lega il destino di queste tre donne? All'apparenza poco, Virginia è alle prese con la creazione della sua "Signora Dalloway". E signora Dalloway è il nomignolo che Richard ha inventato per Clarissa. Ed è ancora quel romanzo che Laura porta con sè nella sua fuga breve dal mondo.
Ma dietro a questo tema narrativo, quasi la spia di qualcos'altro, un secondo e più nascosto motivo attraversa e annoda il destino delle tre protagoniste. Cunningham fa pensare a un ventriloquio: usa la voce di Virginia Woolf come fosse la sua. Però stranamente è lì dentro che sentiamo risuonare un'eco. E' un'eco inconsueta ma pure familiare: la voce di un vero scrittore.
Mario Fortunato
Le ore
Il tragico scorrere del tempo e l’ansia che ne consegue.
Come una ruota che gira vorticosa, riproponendo la stessa realtà da svariati punti di vista.
Apparentemente sembra questo il senso del romanzo, ma alla fine della lettura non ne sono certa.
Tre ritratti, tre momenti della storia del Novecento, tre donne.
L’inizio mirabile, di stupefacente bellezza, è la narrazione del suicidio di Virginia Woolf, probabilmente la parte del romanzo meglio riuscita.
Poi partono le tre storie.
Virginia nel 1921 inizia a scrivere Mrs. Dalloway, Laura nel 1949 inizia a leggere Mrs. Dalloway, Clarissa vive ai giorni nostri, veramente anni novanta ormai, e chi la conosce bene la chiama signora Dalloway.
Sembrerebbero loro le protagoniste del libro, invece mi ritrovo alla fine ad avere conferma della spiacevole sensazione che fin dall’inizio mi aveva pervasa, senza avere una spiegazione concreta.
Il colpo di scena finale, che rimette ogni tassello al suo posto, mi fa tirare un sospiro di sollievo.
Non sono tre donne che narrano se stesse ma, bensì, un uomo che narra le tre donne importanti della sua vita.
Fin dall’inizio la sua figura campeggia come un’ombra impalpabile, nelle pagine di Mrs. Dalloway.
Non vorrei essere fraintesa è un libro superbo, scritto benissimo, con diversi piani di interpretazione e con delle frasi da incorniciare, letteralmente.
Eppure, eppure i personaggi non mi convincono.
Soprattutto Laura Brown, è così lontana dalla reale situazione psicologica di una donna nella sua situazione da risultare fastidiosa. Clarissa è ben descritta, ma sono così banalmente eterosessuale da non riuscire proprio a comprendere il suo logorio. Virginia è la grande scrittrice che lotta contro la malattia mentale e forse è il ritratto meglio riuscito.
Solo Richard è perfetto, splendido e crudele.
Una frase di Virginia mi ha molto colpita e la cito :”Oh, se gli uomini fossero i bruti e le donne gli angeli – se fosse così semplice”.
Già se fosse così semplice il libro sarebbe un capolavoro immortale. Ma non è così semplice, e benché l’autore sia bravissimo, e si compiaccia della sua bravura, troppi punti sono fragili tanto da risultare affettati.
Ecco anche questa volta ho confuso le carte e creato una non-recensione, ma per fortuna questo è il mio blog e posso scrivere quello che voglio. Proprio come Richard nel suo illeggibile romanzo da novecento pagine.
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sabato 8 gennaio 2011
Conteggi
Di solito scrivo poco di me e di quello che faccio.
Oggi però vi farò ridere.
Sono due ore che non faccio altro che fare conteggi di date: un mal di testa!
Mi sono fissata con un'idea che pareva uno scherzo, ora invece mi ha preso la mano e sono decisa dargli forma definitiva.
Dunque, essendo la storia ambientata in più epoche (ormai mi sono votata alla fantascienza ^_^)devo creare una certa logica nella datazione.
Allora vai e calcola la data dei personaggi nella prima parte, aggiungi dieci, togli tre. Poi attenta, mica sono nati tutti lo stesso anno.
Dovreste vedermi.
Sono qui: due fogli pieni di date, excel aperto, calcolatrice (sì l'avrete capito ero e sono una frana in matematica;)))
E poco fa, quando pensavo che tutto tornasse...
mi sono ricordata che il cattivo deve essere il più vecchio di tutti!
Tutto da rifare!
Ohi, ohi che mal di testa
Ora basta!
Voi non seguite il mio esempio ma passate un
BUONISSIMO WEEK END!
giovedì 6 gennaio 2011
Riletture
Andato!
Anche per quest'anno il Natale, iniziato già a metà novembre, è andato.
Probabilmente i pigri lo faranno arrivare fino a sabato, domenica, poi si spegneranno tutte le luci e si rimarrà in quel periodo di transizione non molto chiaro che precede il carnevale.
In effetti a rigor di logica già oggi siamo in Carnevale, ma dal 7 gennaio fino al 7marzo, martedì grasso, sono due mesi buoni, un po' troppi per trastullarsi in scherzi e mascherate. Che si fa dunque in questo periodo grigio di transizione?
Ma si rilegge!
Io sono a favore della rilettura.
So che la vita è breve e per leggere tutti i bellissimi libri che sono stati scritti non si dovrebbe perdere del prezioso tempo in riletture.
Ma che ci voleta fare?
Rileggendo si colgono particolari sfuggiti nella foga della trama, si gustano costrutti arditi e si rivivono le sensazioni che hanno accompagnato la prima lettura.
Sinceramente non ricordo quante volte ho letto il Signore degli Anelli, ne Il grande Gasby, soprattutto l'ultimo, un libro catartico, stupendo.
Penso che rileggerò Suite francese, è un mesetto che ci penso, ora credo proprio che sia venuto il momento di farlo.
E voi?
C'è qualche libro che vorreste rileggere? O aborrite anche solo l'idea della rilettura?
Serigrafia di Lucio Ranucci
Anche per quest'anno il Natale, iniziato già a metà novembre, è andato.
Probabilmente i pigri lo faranno arrivare fino a sabato, domenica, poi si spegneranno tutte le luci e si rimarrà in quel periodo di transizione non molto chiaro che precede il carnevale.
In effetti a rigor di logica già oggi siamo in Carnevale, ma dal 7 gennaio fino al 7marzo, martedì grasso, sono due mesi buoni, un po' troppi per trastullarsi in scherzi e mascherate. Che si fa dunque in questo periodo grigio di transizione?
Ma si rilegge!
Io sono a favore della rilettura.
So che la vita è breve e per leggere tutti i bellissimi libri che sono stati scritti non si dovrebbe perdere del prezioso tempo in riletture.
Ma che ci voleta fare?
Rileggendo si colgono particolari sfuggiti nella foga della trama, si gustano costrutti arditi e si rivivono le sensazioni che hanno accompagnato la prima lettura.
Sinceramente non ricordo quante volte ho letto il Signore degli Anelli, ne Il grande Gasby, soprattutto l'ultimo, un libro catartico, stupendo.
Penso che rileggerò Suite francese, è un mesetto che ci penso, ora credo proprio che sia venuto il momento di farlo.
E voi?
C'è qualche libro che vorreste rileggere? O aborrite anche solo l'idea della rilettura?
Serigrafia di Lucio Ranucci
mercoledì 5 gennaio 2011
Arriva la Befana!
Zitti, zitti, presto a letto
la Befana è qui sul tetto,
sta guardando dal camino
se già dorme ogni bambino,
se la calza è ben appesa,
se la luce è ancora accesa!
Quando scende, sola, sola,
svelti sotto alle lenzuola!
Li chiudete o no quegli occhi?
Se non siete stati buoni
niente dolci, nè balocchi,
solo cenere e carbone!
E voi? Siete stati buoni?
lunedì 3 gennaio 2011
Il segno del 2010
Anno nuovo vita nuova!
Non è mia abitudine gettare dalla finestra le esperienze passate e quindi vediamo di riepilogare un po' le sorprese belle e brutte del 2010.
Dal punto di vista librario.
Aiutandomi con la lista di aNobii scopro di avere letto più libri del 2009 e questo non può che farmi piacere.
Tra gli autori scoperti nel 2010 ci sono in rigoroso ordine di apparizione:
Fabrizio Valenza
Luca Centi
Francesca Angelinelli
Fulvio Ervas
Silvana De Mari
Jacqueline Carey
Francesco Falconi
Loredana La Puma
Michela Murgia
Mauro Fantini
Joanne Harris
Marcello Loprencipe
A onor del vero ce ne sarebbero altri, ma quelli sopracitati, mi hanno lasciato, nel bene e-o nel male, un'impronta, un segno, che porto con me anche nel 2011.
Tre scrittrici in modo particolare mi hanno colpita.
Jacqueline Carey, la cui Terra d'Ange è ormai la mia patria adottiva, Loredana La Puma, straordinaria esordiente e Joanne Harris, per la quale non ho ancora elaborato una definizione calzante.
Anche tre scrittori hanno lasciato il segno, non alla lettrice ma all'essere umano. Luca Centi, il suo messaggio su aNobii lo leggo ancora con commozione, Fulvio Ervas, lo scrittore più ospitale che abbia mai incontrato, oltre che un ottimo cuoco!
Discorso a parte per Marcello Loprencipe, uomo eccezionale, di cui aspettavo con ansia di leggere il primo romanzo, e non mi ha delusa.
Insomma, se dal punto di vista professionale il 2010 si è rivelato disastroso, esattamente come temevo, dal punto di vista della lettrice è stato ricco e sorprendente.
Per il 2011 mi aspetto la conferma del giovane Mario De Martino, segnatevi questo nome, sentirete molto parlare di lui!
Però vorrei anche leggere in formato libro il bravissimo Andrea Storti e la mia carissima Paola De Pizzol, entrambi senza pseudonimo, questa volta!
Eppoi, eppoi, tanta salute a tutti perchè il resto si può fare, rimediare, aggiustare, ma la salute, ragazzi, beato chi ce l'ha!
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