"Questa sera si recita a soggetto" è un dramma, che riprende la novella «Leonora addio!» del 1910 (nella raccolta Il viaggio), fu scritto a Berlino tra la fine del 1928 e il 24 marzo 1929, data posta in calce alla prima edizione italiana, nel voi. XXVII delle Maschere nude.
L'edizione italiana era stata preceduta da quella
tedesca nella traduzione di Heinrich Kahn e con una dedica al celebre regista
Max Reinhardt. La prima rappresentazione avvenne il 29 gennaio 1930 a
Kónigsberg, nella Prussia Orientale, con la regia di Hans Karl Múller.
La locandina che
annuncia lo spettacolo tace il nome dell'autore, ma intenzionalmente avverte
che si svolgerà «sotto la direzione del dottor Hinkfuss con il concorso del
pubblico che gentilmente si presterà».
Lo spettacolo non inizia, non si apre alcun sipario perchè arriva dal fondo della sala il dottor
Hinkfuss, «un omarino alto poco più di un braccio, in frak, con un rotoletto
di carta sotto il braccio». Hinkfuss sale sul palcoscenico e promette al
pubblico, che spesso lo interrompe, una recita a soggetto sulla base di una «novelletta»
di Pirandello sottoposta da lui a un trattamento scenico di cui si assume la
piena responsabilità.
«L'azione», dice, «si svolge
in una città dell'interno della Sicilia, dove le passioni son forti e covano
cupe e poi divampano violente: tra tutte ferocissima, la gelosia. La novella
rappresenta appunto uno di questi casi di gelosia, e della più tremenda, perché
irrimediabile: quella del passato. E avviene proprio in una famiglia da cui
avrebbe dovuto stare più che mai lontana la famiglia La Croce.
È composta dal padre Signor Palmiro,
ingegnere minerario: Sampognetta come lo chiamano tutti perché, distratto,
fischia sempre; dalla madre, Signora Ignazia, oriunda di Napoli, intesa in
paese La Generala; e da quattro belle figliole, pienotte e sentimentali, vivaci
e appassionate: Mommina, Totina, Dorina, Nenè».
Il Direttore passa alla presentazione
dei personaggi.
Il vecchio Attore Brillante nella parte
del Signor Palmiro; l'Attrice Caratterista in quella della Signora Ignazia; la
Prima Attrice, Mommina; tre giovani attrici, le sorelle Totina, Dorina e Nenè;
il Primo Attore, Rico Verri, giovane ufficiale di aviazione, frequentatore
della famiglia La Croce, insieme con altri giovani ufficiali che corteggiano le
ragazze.
Gli attori presentati con il
loro vero nome protestano perché, già investiti nelle rispettive parti, si
sentono così deconcentrati, ma il Direttore giustifica al pubblico quelle
proteste come parte dello spettacolo.
E' molto divertente assistere ai battibecchi degli attori e del direttore di scena, il pubblico viene interrogato e gli attori si aggirano in sala. Le continue interruzioni indispongono gli attori che alla fine estromettono Hinkfuss e concludono la rappresentazione in autonomia.
Vi è la parte più drammatica in cui le due vittime Momina e Rico si confrontano.
La Prima Attrice che deve ora
impersonare Mommina, invecchiata e devastata nel corpo dopo le infelicissime
nozze con Rico Verri, viene truccata con amorevole cura dalle attrici che
interpretano la madre e le sorelle. Il trucco diviene la «vestizione»
per la graduale immedesimazione nel personaggio. Legati dallo stesso martirio,
Mommina e Rico Verri si affrontano nel loro carcere domestico, fra tre pareti
velate dal buio. Verri è sempre «fosco», per l'inesausto rovello della
gelosia; Mommina è sulle difese, per il penoso tormento delle parole del marito
che indagano pensieri e ricordi in un delirante rimprovero del passato.
Scena da brivido la devastante gelosia dei pensieri che Rico mostra nei confronti di Mommina e che non può dargli pace perché, sebbene rinchiusa, segregata, la donna pensa e lui non potrà mai sapere a cosa pensa.
Mommina morirà e poiché la Prima Attrice che interpreta
la parte di Mommina non si rialza, gli altri attori che avevano proseguito la
scena, le si fanno attorno allarmati; dalla sala invece «sopravvien
entusiasta correndo per il corridojo, il dotto Hinkfuss che è rimasto a
governar di nascosto tutti gli effetti di luce».
Finalmente la Prima Attrice si riprende
e gli attori, dichiarando di essere destinati a «recitare parti scritte,
imparate a memoria», dicono di non voler rischiare recitando a soggetto
che, in un'incontrollata immedesimazione nel personaggio, uno di lori «ci
lasci la pelle» e, tra le imbarazzate protesa del capocomico, reclamano il
ripristino del ruolo dell'autore.
Ma il dottor Hinkfuss con ostinazione
conclude:
«No, l'autore no! Le parti
scritte, sì, se mai, perché riabbiano vita da noi, per un momento, e... -
rivolto al pubblico - senza più le impertinenze di questa sera,
che il pubblico ci vorrà perdonare».
Alessandro d'Amico scrisse:
«La verità è che Pirandello in questo
dramma che chiude idealmente la sua trilogia del teatro nel
teatro (Sei personaggi in cerca d'autore, Ciascuno a suo modo) parte dalla polemica in atto tra il regista e gli attori, ma per
trascenderla, non per risolverla in favore di uno dei contendenti. La novità è
altrove. È in ciò che Pirandello non aveva potuto affidare a nessun saggio e
che solo sul palcoscenico sarebbe riuscito a mostrare: il momento in cui
l'attore diventa lui personaggio (non, si badi, entra nel personaggio)».
L'allestimento che ho visto io è quello fatto dalla Compagnia Gank con la regia di Alberto Giusta e con Massimo Brizi, Mariella Speranza, Alessia Giuliani, Cristina Pasino, davide lorino, Maximilian Dirr, Barbara Alesse, ernesta Agira, Manuel Zicarelli, Carlo Sciaccaluga.
I miei personali complimenti a tutti gli attori, ma in modo particolare all'interprete di Rico Verri che è stato bravissimo a trasmettere l'ossessione della gelosia e la disperazione di un uomo che non riesce a possedere fino in fondo la propria donna.
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