Ho aperto il corridoio dimensionale e sono passata da un pianeta sconosciuto alla mia Estreira.
Che piacere tornarci! Non avrei dovuto, lo so, mentre si corregge si dovrebbe essere concentrati, ma che ci posso fare se Alex mi chiama a gran voce?
Sarei veramente sgarbata a non rispondere, vi pare?
Dunque oggi sono successe molte cose degne di nota, a parte il terremoto, a parte il ritorno a Estreira, a parte farmi male gli occhi per il poco sonno, a parte fare i miei soliti disastri... sono andata a correre!
Dopo una settimana di clausura forzata è stata una liberazione!
Questo mi ha fatto tornare in mente un mio vecchio racconto "Di corsa" che avevo pubblicato nel blog e poi rimosso. Mi ha fatto tornare in mente la canzone che l'aveva ispirato.
Rileggere il racconto mi ha delusa perché non mi ha trasmesso più l'emozione di quando l'ho scritto. Suppongo capiti però mi ha fatto pensare molto. L'avevo tolto dal blog perché pensavo di lavorarci sopra e scrivere qualcosa di più complesso, ma ho cambiato idea perciò se vorrete leggerlo è quello che segue.
Di
corsa
Correre.
Sono dieci anni che attende di
correre, sente la gioia riempirgli l’animo e si guarda quei piedi, che sono
nuovi e antichi, toccare terra con ritmo ed eleganza.
La strada è deserta, si è alzato
prestissimo per non incontrare nessuno, vuole che la sua corsa sia solitaria,
deve poter assaporare ogni istante di quel momento, vuole percepire solo se
stesso e il mondo, senza incontrare uno sguardo, senza scorgere anima viva.
Le lunghe falcate mostrano una
tecnica sapiente di corsa. Non è un novellino, non ha dimenticato e le gambe si
muovono come se non avesse fatto altro ogni giorno della sua vita, come se non
fosse trascorso che un battito di ciglia da allora…
Gli manca l’allenamento e i muscoli,
nuovi e antichi, gridano, il cuore inizia a pompare il sangue e le orecchie
sono martellate dai battiti.
Ha una mèta che lo aspetta, vuole
arrivare presto, vuole concludere quello che è stato iniziato, ma non ce la fa
e, contro ogni avvertenza, contro ogni aspettativa, si ferma e posa le mani sulle
ginocchia.
Piegato, ansante, fissa ancora
una volta sbalordito i suoi piedi, chiedendosi come ha fatto a vivere senza
correre. Passano istanti che paiono lunghissimi, la memoria vaga nel passato
recente, in cui la sua immobilità era reale, concreta, solida come delle sbarre
che lo tenevano prigioniero.
Il bianco del soffitto, il bianco
delle lenzuola, il bianco assoluto. L’assenza di qualsiasi colore dalla sua
vita, l’annullamento di sé.
Perché il vuoto non è il nero, il
vuoto è il bianco degli occhi della pietà della gente, che non lo fissava nelle
pupille, sfuggendo il suo sguardo. Il bianco delle infermiere che si avvicinavano
con finti sorrisi.
Il bianco dei cuscini a cui
doveva appoggiarsi, ora a destra e ora a sinistra, anche se non sentiva più né
destra né sinistra. Anche se tutto era assenza, anche se niente aveva
significato.
Scuote la testa, si raddrizza e,
un passo dopo l’altro, si avvicina alla mèta, al ponte.
Una paura ben nota ma estranea si
impossessa delle sue gambe, comincia già a percepire un mormorio lontano, una
voce che chiama il suo nome. I piedi, nuovi e antichi, sembra vogliano
rifiutarsi di arrivare al ponte, lui insiste.
Ora cammina, lo sforzo è grande,
i muscoli nuovi e antichi oppongono una resistenza che lo affatica e di cui non
si stupisce. Il momento sta per arrivare, mancano pochi metri, eppure non sa se
ce la farà.
Si chiede se avrà veramente il
coraggio di fare quello che ha fatto lei.
L’essere che vive in quelle
gambe, la donna che ne aveva una parte, conosceva quel ponte, e lo riconosce
anche ora, lo teme e lo desidera. Un brivido di consapevolezza lo distrae, lei
è combattuta e lo lascia fare.
In pochi rapidi passi è arrivato;
finalmente.
La voce non tace mai, la sente
anche ora. Una cantilena di pianto inconsolabile.
Un effetto collaterale delle
nuove generazioni di impianti neurali, che aiutano le persone come lui, che
hanno danni spinali. Così l’avevano definito: memoria sensoriale periferica.
Sorride. Dicevano che sarebbe
passato in pochi giorni.
Gli aveva creduto.
Come poteva non credere ai
dottori, agli scienziati che gli avevano promesso e regalato il dono delle sue
stesse gambe?
Li aveva ringraziati, li aveva
benedetti tutti quanti: medici e infermieri.
Avevano realizzato quello che
solo a Dio era concesso: gli avevano restituito la vita.
Come poteva non credere alle loro
parole?
Ma la voce della donna riecheggia
in lui ogni notte. Chiede di morire, vuole morire. Doveva essere giovane,
almeno quanto lui, doveva essere infelice, la sua tristezza la percepisce bene,
gli attanaglia il cuore da mesi, lo soffoca. L’ha cercata, ha indagato, voleva
sapere chi era. All’inizio, per ringraziare la sua famiglia, poi semplicemente
per farla tacere, per mettere fine alla sofferenza.
Tutto è stato inutile, di lei sa
solo quello che la voce racconta tra i lamenti.
Lui è stanco, non sopporta più
quella vita, quella voce, quella disperazione, ma non vuole tornare fermo.
Gettandosi nel vuoto annullerà
l’esperimento, tornerà a essere informe, non potrà più correre. Almeno morirà
per sempre, non un giorno alla volta.
Si rivede immobile, con gli occhi
che vagano in cerca di una mosca. Persino un insetto così piccolo poteva
muoversi libero, mentre lui era fermo, come un sasso. Almeno le piante sono
mosse dal vento, lui era troppo pensante persino per farsi portare dal vento.
No, non vuole più essere
prigioniero di se stesso, del proprio corpo.
Stringe forte i pugni chiusi, le
unghie gli fanno male nella carne, ed è così felice che quel dolore lo riporti
alla realtà.
Quell’istante è il momento
preciso in cui il buio perde la battaglia contro la luce.
I primi raggi di sole mostrano il
ponte e lui sa chiaramente che lo deve fare.
Alla fine ha deciso di ascoltare
le sue nuove e antiche gambe ed è arrivato lì dove tutto era finito per lei.
Una voce dentro la sua mente
grida aiuto; la sente supplicare.
Chi avrebbe detto che con le
terminazioni nervose delle gambe, sarebbero arrivati anche i ricordi?
Gli ultimi momenti di esistenza
dell’essere umano a cui in precedenza erano appartenute.
Sono notti che vede quel ponte, è
da lì che la donna si è gettata.
Se si concentra può percepire il
ticchettio della pioggia sulla testa, sulla testa della donna.
Era quasi notte, le luci dei fari
delle auto erano riflesse mille volte dall’acqua che cadeva scrosciante.
Durante alcuni sogni è riuscito
persino a percepire il brivido della caduta, l’attimo prima che il freddo, come
aghi acuminati, trafiggesse la carne di quella povera ragazza.
Quale coraggio aveva avuto nel
gettarsi!
Lui non sapeva se l’avrebbe avuto,
ormai era lì; l’avrebbe scoperto presto.
Guarda il ponte e ne è
affascinato.
Ha una bella linea, è solido e a
campata unica, si estende per una trentina di metri, poche auto transitano e in
quel momento non c’è nessuno.
Gli sembra di avere atteso tutto
quel tempo solo per arrivare fino a lì, fino a quel ponte, che permetterà di
attraversare finalmente il confine della vita e della morte.
L’uomo appoggia le mani sul
parapetto in cemento e lentamente vi sale. Una volta diritto, in piedi, guarda
il vuoto sottostante. L’acqua lo chiama, una quindicina di metri più sotto,
scorre forte e lieta, incurante di tutto, di tutti, di lui e di lei. Ha
l’impressione di conoscere anche la voce della corrente. Chiude gli occhi.
Chissà se anche lei aveva sentito
il richiamo dell’acqua?
Ora non sta pensando alla donna,
ora pensa alle sue gambe, nuove e vecchie, ai suoi piedi.
Li guarda un’ultima volta e li
trova belli.
Quando era piccolo non avrebbe
mai creduto che le sue gambe sarebbero state la fonte di tanto dolore e di
tanta gioia. Le corse che faceva con i suoi amici erano normali e scontate,
come respirare.
Sorride e un velo di malinconia
gli scende sul viso.
Ha aspettato dieci anni per poter
correre di nuovo. Ora ha corso, è felice.
I suoi ultimi ricordi saranno la
gioia di avere compiuto un miracolo, di avere beffato la sorte e di avere
vinto. Proprio mentre pensa questo, l’amarezza del gesto che sta per compiere
lo frena un secondo. Una parte di lui ha paura, paura del buio, del freddo. Sa
già che gli mancheranno il sole, le stelle e il blu del cielo.
E correre, ah, quanto gli
mancherà correre!
Sentire il vento nei capelli e il
calore nel viso.
Gli è mancato per così tanto
tempo che ormai dovrebbe essersi abituato, eppure, anche ora, quando tutto è
deciso, quando tutto ormai è inevitabile, una parte di lui vorrebbe correre,
tornare a casa, di corsa.
Apre le braccia e così, come
vuole la natura, cade. Vorrebbe cadere, deve cadere.
Quelle gambe, nuove e antiche,
non lo lasciano.
I piedi non si muovono.
Prima il destro e poi il sinistro
si voltano, scendono dal muretto.
Un passo dopo l’altro, l’uomo
inizia a correre.
Lo stupore lo assale e con esso
una gioia immensa. I suoi piedi sono suoi, le sue gambe sono sue, hanno trent’anni
come lui e la rete neurale lo sa e tace.
La rete neurale vuole correre, la
donna vuole ridere.
Correre, entrambi vogliono solo
correre.
La sente vicina, come mai prima
di quel momento. Non ode la sua voce, percepisce direttamente la gioia della
corsa. Il cuore che batte dentro il suo cuore, la sensazione di pace che aveva
cercato, l’ha trovata correndo.
Ride e la sua risata risuona in
tutta la sua testa e gli dà gioia come poche cose nella sua vita.
Poi, eccola, cristallina, è lei
che parla.
Si scusa, chiede pazienza, è la
sua natura e non la può rinnegare.
Forse lo porterà ancora sul
ciglio del ponte, forse piangerà ancora di notte, ma lo prega di correre, di
portare quelle gambe, nuove e antiche, in giro per le strade. Percorrere
leggere il mondo e gioire della corsa come ha appena fatto con la memoria.
Si sforzerà di seguirlo, di
stargli dietro, non gli farà più del male.
Lei è già caduta, non lo farà più
cadere.
Questa è la canzone che l'ha ispirato
Buon week end!
Adoro Katy Perry. E' fuori di testa. come me. la adoro!!!
RispondiEliminaBuon we tesora!!!!!
La adoro anche io e sono letteralmente pazza per l'attore con cui ha girato il video di Teenage Dream, hai presente? No? Rimediare subitissimo! Baciotti!
EliminaStaccare la spina e dedicarsi ad altro, ci permette di essere più lucidi quando torniamo al lavoro in cui siamo impagnati.
RispondiEliminaE il racconto a me piace ancora. Era uno dei pochi se non l'unico che aveva una fine luminosa.
Madonna scuserà codesto menestrello, ma financo aver taglio d'orecchio esso giammai 'scolterà Perry!
RispondiEliminaRacconto l'è financo completo: final lascia in codesto lettore financo lucia di speranza in disperaziona.
No, no devi ascoltare questa canzone e vedere il video è pieno di speranza! Grazie della visita messere e buona domenica!
EliminaSono contenta che lo dici, così se oggi batto la fiacca non mi rimprovererai! Ahahah (opportunista)!
RispondiEliminaSi il finale è positivo, di solito non riesco a far finire male le storie, dovrò applicarmi per riuscirci. Pare che il dolori sia più fruttuoso della risata
Mi sono dimenticata di scrivere che questa risposta era per Chagall'^^
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