Le cronache di Gaia

Cronache di Gaia.

Un luogo di viaggio e di passaggio, benvenuti!

Visualizzazione post con etichetta Antonia Arslan. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Antonia Arslan. Mostra tutti i post

lunedì 24 gennaio 2011

Ishtar 2

Visto che ci sono i saldi, oggi 3x1 3 libri in 1 post!

I libri di Antonia Arslan.



Ishtar 2. Cronache da un risveglio




Ishtar 2 è un reparto di Rianimazione, dove Antonia Arslan, inghiottita dal coma all’improvviso, è stata ricoverata per 20 giorni, angoscianti per chi le voleva bene e spaventosi per lei, che forse non era così assente. Eppure in quella nuova dimensione la sua vita si è accesa come per incanto, l’ospedale si è fatto ora castello in cui si aggirano dolci presenze capaci di fugare paure e solitudine, ora giardino dove l’erba è un tappeto morbido. Il lento recupero ha avuto il sapore di una rinascita. La gola, come carta vetrata subito dopo il risveglio, ha ritrovato il respiro e restituito la voce a una generosa e affascinante cantastorie. Le sue dita si sono messe a correre sulla pagina trasformando quell’esperienza in racconto.
Ne sono nate queste pagine toccanti e allegre perché, persino tra le pareti di quella stanza d’ospedale, Antonia Arslan è rimasta una bambina capace di osservare il mondo con lo sguardo rapito di chi ancora non sa. Quello sguardo che le ha permesso di commuovere i suoi lettori narrando l’eccidio armeno e l’incendio di Smirne. E di dirci oggi ciò che ha visto dalle finestre di quel castello sul mare.


Commento di Booksblog
“Solo una lettera distingue Istar 2 – il nome di reparto di rianimazione – da Ishtar, “la dea del Pantheon assiro…colei che è chiamata l’Argentea, la Signora della Luce Risplendente”. E’ lo scarto fra realtà e sogni – visioni che sono “avventure del cuore” - separate solo dall’esile ‘terra di mezzo’ abitata dai nostri corpi. Basta un piccolo intoppo (un sassolino invadente, un ‘calcolo’ dicono i medici) e quelle porte si spalancano, per Antonia Arslan, la scrittrice autrice di La masseria delle allodole e la Strada di Smirne. Una mattina, mentre stava leggendo una recensione non positiva al suo libro, su un grosso giornale, infatti, succede: i dolori alla schiena insopportabile, il ricovero, la rianimazione.”

Chi è l’autrice?

Antonia Arslan è autrice di saggi fondamentali sulla narrativa popolare e la letteratura femminile tra Ottocento e Novecento. Ha riscoperto le proprie origini armene traducendo le opere del grande poeta Daniel Varujan.
Nel 2004 ha dato voce alle memorie familiari ne La masseria delle allodole, premiato con moltissimi riconoscimenti e tradotto in 15 lingue, da cui i fratelli Taviani hanno tratto l’omonimo film.


La masseria delle allodole




Io mi sono seduta, un giorno di maggio, ad ascoltare e a scrivere. Ed è stato come intessere un tappeto.
Antonia Arslan racconta la storia di una famiglia armena (la sua famiglia) che nel maggio 1915 viene distrutta: gli uomini e i bambini maschi sono trucidati dai turchi e per le donne inizia un'odissea segnata da marce forzate, umiliazioni e crudeltà. È la diaspora, che porterà gli armeni a disperdersi nel mondo, conservando nel cuore la struggente nostalgia per una patria e una felicità perdute. La masseria delle allodole, con la sua prosa avvolgente, getta luce sulla storia di un popolo vittima del primo genocidio del ventesimo secolo, sopravvissuto grazie al coraggio delle sue donne straordinarie.


Un libro da leggere assolutamente per conoscere uno dei genocidi del secolo scorso. Magistrale la scrittura e tanta emozione. Non mi vergogno di dire che mi ha fatto piangere in molte parti. Di più non riesco a dire perché le forti emozioni che hanno accompagnato la lettura mi hanno impedito addirittura di vedere il film, quindi credo che la lettura personale di questo libro sia doverosa, soprattutto in questi giorni.

Nel 2009 esce La Strada di Smirne, seguito de “La masseria delle allodole”




È finita. La fuga è giunta alla sua conclusione. Al sicuro a bordo di una nave che li condurrà in Italia, Shushanig e i suoi quattro figli si lasciano alle spalle le atrocità che hanno sconvolto la loro vita e sterminato i loro cari e tante altre famiglie armene. Quello è il passato, racchiuso e conservato per sempre tra le pagine della Masseria delle allodole.
Ora una nuova storia incalza. Mentre in Italia i figli di Shushanig si adattano dolorosamente a una nuova realtà, Ismene, la lamentatrice greca che tanto ha fatto per strapparli alla morte, cerca di dare corpo all’illusione di salvare altre vite, prendendosi cura degli orfani armeni che vagano nelle strade di Aleppo, ostaggi innocenti di una brutalità che non si può dimenticare. Ma proprio quando nella Piccola Città dove tutto ha avuto inizio qualcuno torna per riprendere quel che gli appartiene, ogni speranza di ricostruire un futuro compromesso cade in frantumi.
La narrazione di Antonia Arslan stupisce per il coraggio di testimoniare fino in fondo le vicende di un popolo condannato all’esilio e per la capacità di dipingere un mondo vivo e pulsante di donne e uomini straordinari. Donne e uomini normali che hanno sofferto senza spezzarsi, attraversando le alte fiamme che, nell’incendio di Smirne, sembravano voler bruciare la speranza di una vita nuova.


E’ stato molto difficile portare a termine la lettura di questo libro.
Non perché fosse scritto male, anzi, non che la storia non fosse interessante, anzi.
Il romanzo è troppo coinvolgente.
E cosa c’è di male in questo? Di male c’è il fatto che fin dall’inizio sappiamo che la tragedia si compirà e migliaia di innocenti moriranno, che i nostri protagonisti avranno una morte orribile e ogni pagina avvicina il lettore all’orrore che pare senza fine, tipico dei genocidi.
A parte questa mia considerazione personale, il libro è stupendo.
Antonia Arslan, con perizia e perfetta conoscenza della lingua, narra ancora una volta la storia degli armeni e della loro lotta infinita per poter sopravvivere. Dopo La Masseria delle allodole, e la sua denuncia a livello mondiale del genocidio armeno ad opera dell’Impero Ottomano, con La strada di Smirne l’autrice racconta l’impossibile vita dei sopravvissuti e la semi sconosciuta distruzione di Smirne, la bella infedele. Dopo gli armeni e i turno dei greci soccombere di fronte al fanatismo del rinnovato governo turco.
Così Shusanig parte per l’Italia con le figlie e il piccolo Nubar, salvatosi solo perché vestito da bambina, lascia Ismene, la lamentatrice greca, il prete Isacco e il mendicante Nazim ad Aleppo e va verso la salvezza. Ma salvezza pare non esserci per nessuno. I sopravvissuti sono marchiati nell’anima dalla colpa di essere vivi e i giorni e le notti non possono che parzialmente lenire le sofferenze.
Shushanig muore sulla nave e i suoi figli orfani arrivano da parenti che non sanno e non possono capire l’orrore. Unica speranza è proprio Nubar, troppo piccolo per ricordare la sofferenza.
In Turchia Ismene ed Isacco continuano ad aiutare bambini armeni in un orfanotrofio e diventano, sposandosi, una vera famiglia con una cinquantina di figli. Alla fine della guerra vanno a Smirne, la città greca cosmopolita, così vicina alla nativa Chio di Ismene. Nazim rimarrà per un po’ ad Aleppo ma anche lui arriverà a Smirne.
L’autrice interviene in prima persona durante tutta la narrazione per avvertirci di non illuderci, Smirne deve bruciare, la Turchia è dei turchi, monito sinistro a cui la Storia piega la piccola storia dei protagonisti. Sfilano così persone comuni travolte dagli eventi, buoni e cattivi si mescolano oltre ogni apparenza e Nazim il mendicante turco è un eroe senza le medaglie molto più del codardo colonello francese che fugge nella notte. Le potenze occidentali vittoriose paiono già allora pronte ad accogliere il prossimo genocidio che di lì a vent’anni si compirà proprio in Europa.
Mai una condanna, mai un giudizio esplicito, l’imparzialità dell’autrice porta il lettore alle proprie profonde riflessioni. Ancora una volta Antonia Arslan compie il miracolo di far rivivere uomini e donne senza voce e di farli conoscere ai suoi lettori, rendendoli immortali.

martedì 14 settembre 2010

Caterina Percoto


Dove eravamo rimasti?
Al casello di Verona nord?
Bene alla fine sono arrivata a Mantova e di questo voglio parlare oggi.
Nel programma di Festivalletteratura lo presentavano così:
INTORNO A CATERINA PERCOTO (evento n° 41)
Torna su

In un intervento sponsorizzato non a caso dall'AIDDA (Associazione Imprenditrici e Dirigenti d'Azienda), Antonia Arslan, autrice tra gli altri di La Strada di Smirne, ha presentato nel meraviglioso scenario del teatro Bibiena Caterina Percoto, scrittrice sconosciuta ai molti ma il cui talento la vorrebbe citata nelle antologie al fianco di Giovanni Verga e Luigi Capuano.
Nata in un piccolo paese in provincia di Udine nel 1812, Cateriana Percoto vive un'esistenza dedicata alla scrittura in un tempo in cui si considerava persino disdicevole che le donne leggessero.
Narra nei suoi racconti una galassia sommersa, trame appassionate di voci femminili con una "grande e avvolgente pietà" e, come tutti i grandi, riesce ad essere attuale ancora oggi.
«Bisogna andare all'estero per vedere riconosciute queste grandi scrittrici» lamenta la Arslan, che poi cede il passo a un vero e proprio recital in cui brani da La donna di Osoppo e da La coltrice nuziale prendono vita grazie a Nicoletta Maragno, attrice e cantante dalle straordinarie qualità espressive, che impeccabile e toccante volteggia con scioltezza tra i vari personaggi impossessandosi di loro e conquistando tutti.

L’evento a cui sono andata è stato organizzato e sponsorizzato, per il quarto anno consecutivo, da Aidda, un’associazione molto speciale, di cui parlerò alla fine per non rubare spazio alla scrittrice.
Caterina Percoto di lei wikipedia dice:
Nata a San Lorenzo di Soleschiano (Comune di Manzano, in provincia di Udine) in Friuli, da una nobile famiglia di avvocati, artisti e uomini di lettere, fu l'unica bambina di sette figli.
Alla morte del padre, nel 1821, la sua famiglia si spostò ad Udine, e lei fu mandata nell'Educandato di Santa Chiara (oggi Educandato Uccellis), a scuola dalle suore. Da questo periodo, nacque nella scrittrice la forte avversione per l'educazione monacale delle donne, tema che Caterina Percoto difese per tutta la vita.
Nel 1828 incontrò il primo amore, un giovane di origine ebrea. Proprio per questo, la relazione fu duramente osteggiata sia dalla famiglia che dalle suore.
Nel 1829, lasciò il convento per ragioni di carattere economico. Dopo il suo ritorno a casa, cominciò a dedicarsi all'azienda di famiglia e all'educazione dei fratelli minori coadiuvata da don Pietro Comelli, già "fattore" dei conti Percoto e pievano del luogo. Comelli le diventerà presto guida spirituale e amico sincero. La carriera letteraria di Caterina Percoto ha inizio nel 1839, grazie a Don Comelli che inviò segretamente alla Favilla di Trieste il primo scritto di Caterina: un commento alla traduzione del Maffei di alcuni brani della Messiade di Klopstock. Iniziò così il rapporto di Caterina con l'editore Francesco Dall'Ongaro, che ben presto diventò suo mentore.
Immersa nei paesaggi friulani, supervisionando al lavoro nei campi e alla coltura dei bachi da seta, ritrasse nelle sue opere lo stagnante mondo di povertà del Friuli, sotto il dominio austriaco.
Nel 1841 apparirono sulla Favilla i primi racconti della Percoto. Il Dall'Ongaro la fa conoscere nel mondo letterario italiano.
Nel 1847, dopo un viaggio a Vienna, iniziò il lungo contatto epistolare con Carlo Tenca.Ma con la prima guerra di indipendenza, del 1848, i suoi scritti divennero politicamente più impegnati, e racconti come La donna di Osoppo e La coltrice nuziale, riscossero un grande successo negli ambienti patriottici.
Nell'ottobre 1852 morì il fratello Costantino, lasciandole il gravoso compito dell'educazione dei giovanissimi figli.
Negli anni cinquanta, inoltre, iniziò a scrivere in lingua friulana, e dopo due anni di trattative, con l'editore Le Monnier, il quale temeva che i titoli in friulano avrebbero infastidito gli Austriaci, nel 1863 uscirono due volumi di racconti. Gli ultimi anni di vita della scrittrice furono piuttosto sofferti, a causa delle sue precarie condizioni di salute, ma allo stesso tempo densi di avvenimenti ed incontri di particolare rilievo. Nel 1867, ad esempio, incontrò a Udine, Giuseppe Garibaldi in persona. L'anno successivo rifiutò la nomina a direttrice dell'Educandato di Santa Chiara (oggi Educandato Uccellis) e nel 1871 il ministro Cesare Correnti la nominò ispettrice degli educandati veneti. Nel 1878 e nel 1883 vengono pubblicate due raccolte di suoi racconti. Caterina Percoto morì il 15 agosto 1887 a Soleschiano ed è sepolta a Udine accanto al poeta Pietro Zorutti.
Quello che non dice wikipedia ce l’ha svelato una studiosa Elisabetta Feruglio, curatrice del romanzo. Caterina era una donna forte, indipendente ben inserita nel contesto sociale in cui viveva ma, nello stesso tempo, restia a sottostare alle regole dell’epoca che imponevano molti limiti alle donne e le obbligavano a occupazioni per lei ridicole. Amica dei maggiori narratori dell’epoca appartenente alla prima categoria degli scrittori, anche lei è scomparsa nelle galassia sommersa delle scrittrici italiane.
Come sostiene Antonia Arslan la nostra storia della letteratura è ricchissima di scrittrici brave di cui però non è rimasta traccia nelle antologie moderne. E pare assurdo che Elisabetta Feruglio abbia svolto il proprio dottorato di ricerca e analizzato Caterina Percoto a Cambridge mentre in Italia la stessa autrice sia semi sconosciuta.
Per concludere il mio plauso all’Associazione AIDDA composta da donne dirigenti d’azienda.
Mara Borriero, presidente della sezione regione veneto, introducendo l’incontro ha detto: “Noi crediamo che una sana economia non possa esistere né svilupparsi senza una solida cultura alle spalle”.
Serve dire altro?