Le cronache di Gaia

Cronache di Gaia.

Un luogo di viaggio e di passaggio, benvenuti!

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venerdì 29 aprile 2011

Il mio Giappone 5

Premessa:
si ringrazia per la consulenza di questo post, Wikipedia, un economista di Ca' Foscari a me molto caro e il capo officina della mia concessionaria Toyota.

Oggi è stata una giornata frenetica e per poco mi dimenticavo del mio ultimo appuntamento mensile con il Giappone.
Sì, lo so, avevo detto che con Murakami avrei terminato la serie.

Ma stavo per dimenticarmi il Giappone che più ho vicino a me.

La mia meravigliosa Yaris, auto dell'anno 2000, che riporta nel numero di telaio le lettera "G" che indica il suo luogo di costruzione, il Giappone appunto.


Sì, ha 11 anni ma ogni volta che porto alla concessionaria per i controlli previsti dalla legge, il capo officina mi chiede se intendo venderla. "No, perchè se vuole venderla io la compro subito"
E ti credo! In undici anni di vita non ha mai avuto un problema!
Ma questo non è un post dedicato alla mia auto, bensì a

"La macchina che ha cambiato il mondo",


LA MACCHINA CHE HA CAMBIATO IL MONDO

WOMACK J.P. JONES D.T. ROOS D.
PASSATO, PRESENTE E FUTURO DELL'AUTOMOBILE SECONDO GLI ESPERTI DEL MIT


Il mondo dell'industria sta attraversando una trasformazione rivoluzionaria. I giapponesi hanno invaso il mercato mondiale riportando i successi più significativi proprio nella produzione dell'automobile. Ma soprattutto ottengono questi risultati con metodi radicalmente diversi da quelli ritenuti fino a pochi anni fa l’unica ricetta vincente nella produzione di grandi serie: abbondanza di materie prime, di spazio e di risorse naturali, disponibilità di manodopera non specializzata. Il successo giapponese si fonda sulla lean production, la «produzione snella»: magazzini ridotti al minimo, flusso di componenti e materie prime strettamente calibrato alle necessità della produzione, adozione continua di piccoli miglioramenti al prodotto, lavoratori responsabilizzati che contribuiscono attivamente al successo dell’impresa. Risultato: pochi difetti, costi bassi. In una parola: la qualità globale. La macchina che ha cambiato il mondo illustra i risultati di un lungo e articolato lavoro di analisi delle ragioni del successo giapponese: una ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT), che ha impiegato per cinque anni, con un finanziamento di cinque milioni di dollari, decine di ricercatori in tutto il mondo.


Wikipedia mi aiuta dicendo che

l termine produzione snella (dall'inglese lean manufacturing o lean production) identifica una filosofia industriale ispirata al Toyota Production System, che mira a minimizzare gli sprechi fino ad annullarli.

Produzione snella.png

I principi Lean:

  • Eliminare lo spreco;
  • Specificare precisamente il valore dalla prospettiva del cliente finale;
  • Identificare chiaramente il processo che consegna valore al cliente (cosiddetto value stream), ed eliminare le fasi che non aggiungono valore;
  • produrre le rimanenti fasi che aggiungono valore in un flusso senza interruzione, organizzando le interfacce tra differenti fasi;
  • lasciare che sia il cliente a tirare il processo – non produrre niente fino a che non ce ne sia bisogno, poi produrre questo velocemente;
  • Perseguire la perfezione tramite continui miglioramenti.

Il processo produttivo, quindi, viene trattato in modo globale al fine di ridurre al massimo la complessità della produzione puntando sulla sua flessibilità coinvolgendo fin dall'inizio tutte le funzioni aziendali, potremmo così individuare alcuni settori:

  • progettazione: il prodotto viene studiato considerando i problemi inerenti alla sua produzione (DFX) evitando la sua riprogettazione cioè gli sprechi dovuti al non essere riusciti a "fare bene fin dalla prima volta"
  • produzione: just in time
  • valorizzazione: "qualità totale" TQM di W. Edwards Deming

Gli sprechi che si cerca di annullare sono i più vari. Nella produzione snella si possono ricordare:

  • sprechi di materie prime
  • sprechi dovuti a tempi morti
  • giacenze di magazzino inutilizzate
  • sprechi di sovrapproduzione
  • sprechi legati a carenze nei processi
  • trasporti inutili
  • prodotti difettosi

Il termine lean production è stato coniato dagli studiosi Womack e Jones nel loro libro "La macchina che ha cambiato il mondo", in cui i due studiosi hanno per primi analizzato in dettaglio e confrontato le performance del sistema di produzione dei principali produttori mondiali di automobili con la giapponese Toyota, rivelando le ragioni della netta superiorità di quest'ultima rispetto a tutti i concorrenti.

La lean production è dunque una generalizzazione e divulgazione in occidente del sistema di produzione Toyota (o Toyota Production System - TPS), che ha superato i limiti della produzione di massa(sviluppato da Henry Ford e Alfred Sloan) applicata allora (e ancora oggi) dalla quasi totalità delle aziende occidentali.

In Italia, la Lean Production è oggetto di studio nel corso di Ingegneria Gestionale, indirizzo Logistico-Produttivo, che corrisponde a quella che nel resto del mondo viene definita come "Industrial Engineering".


La fantasia creativa e originale del Giappone ha trovato una via molto pratica per concretizzarsi.

Facendo scuola a tutto il mondo.

Credo che questo sia senza dubbio il modo migliore per concludere il mese dedicato al Giappone.

Ho parlato di grandi maestri che con le loro opere ci hanno fatto sognare, di due autrici che hanno interpretato l'anima del Giappone. Ma questo paese è anche lavoro, dedizione e onore.




venerdì 22 aprile 2011

Il mio Giappone 4

Oggi è il quarto appuntamento e ultimo che dedico al Giappone.

In questo mese la situazione, se possibile, è divenuta ancora più grave e seria.

Penso di non dover aggiungere altro, tutti sappiamo di cosa sto parlando.

Nel blog di Lara Manni trovate il punto della situazione di Autori per il Giappone, che continua a raccogliere fondi: l’emergenza non è finita!

Naturalmente oggi parlo di Haruki Murakami.

Questo gigante mi spaventava. Infatti ho rinviato più volte questo post.

Alla fine ho deciso di non fare retorica da critico letterario, non ne sarei capace. Racconto molto semplicemente la mia esperienza con questo autore. Spero di annoiarvi!

Ho conosciuto tardi Murakami. sapevo chi era, ma solo quando mi hanno regalato "Kafka sulla spiaggia" me ne sono innamorata. Poi sono andata a ritroso, fino a "Norvegian Wood".

Scopro in lui quella malinconica bellezza, intrinseca nella visione che noi abbiamo del Giappone.

Questa incomprensibile attrazione, non priva di critiche verso alcuni aspetti della loro società, che mi affascina da sempre e mi costringe ad ammirarli.

Alcune notizie da wiki :

"Haruki Murakami nasce a Kyōto. Suo padre Chiaki è il figlio di un monaco buddista, mentre sua madre Miyuki è la figlia di un commerciante di Osaka. I suoi genitori si conoscono in quanto insegnanti di letteratura nello stesso liceo; dopo le nozze, la madre lascia il lavoro per dedicarsi interamente alla famiglia. Quando Haruki ha un anno, la famiglia si trasferisce a Ashiya, piccolo paese nella prefettura di Hyogo. Poco tempo dopo si sposta a Kobe, città sul mare dove lo scrittore trascorrerà infanzia e adolescenza, molto stimolante dal punto di vista culturale. È qui che Murakami comincerà a entrare in contatto con libri di autori stranieri, soprattutto inglesi, cominciando poi a scrivere, nel corso della sua frequenza al liceo, sul giornale della scuola.

Terminate le scuole superiori, si iscrive alla facoltà di letteratura dell'università Waseda di Tokyo dove si laurea nel 1975 con una tesi sull'idea del viaggio nel cinema americano. Gli anni della sua frequenza universitaria sono gli anni delle rivolte studentesche. Murakami partecipa molto attivamente a quel periodo, esprimendosi per esempio in maniera molto decisa contro la guerra in Vietnam, nonostante il Giappone non vi avesse preso parte.

Nel 1968 conosce Yoko Takahashi, nata il 2 ottobre 1948, figlia di un commerciante di futon di Tokyo, che diventerà sua moglie. Murakami la sposa nell'ottobre del 1971, affrontando il parere contrario dei propri genitori. Questi infatti avrebbero voluto innanzi tutto che il figlio sposasse una donna del Kansai, in secondo luogo non avrebbero desiderato che si unisse in matrimonio prima di terminare gli studi, senza avere perciò un lavoro. Murakami si trasferisce perciò dopo le nozze a casa del padre di Yoko, favorevole invece al sentimento che univa i due giovani, vivendo con questi e Yoko stessa, in quanto la madre della ragazza era morta da tempo e le sorelle di lei già sposate.

Haruki per un anno interrompe la frequenza all'università e comincia a lavorare in una stazione televisiva. Poiché questo lavoro non lo soddisfa, con la moglie decidono di aprire un jazz bar, utilizzando sia denaro ottenuto in prestito da una banca, sia i soldi guadagnati da entrambi, lavorando di giorno in un negozio di dischi e di sera in una caffetteria. Il bar viene aperto a Kokubunji (Tokyo), nel 1974, e viene chiamato "Peter cat", dal nome di un gatto che lo scrittore aveva avuto con sé qualche anno prima e poi lasciato a un suo amico in campagna. Il "Peter Cat" era una caffetteria di giorno, mentre di sera venivano serviti anche alcolici; l'ambiente era senza finestre, con muri bianchi in stile spagnolo, sedie e tavoli di legno, nonché foto di gatti dappertutto. Murakami qui preparava bevande, metteva musica, leggeva libri e ascoltava le persone; come ammette lui stesso, questa esperienza è stata preziosa per la sua formazione di scrittore.

Nel 1977 il jazz bar viene trasferito in una zona più centrale di Tokyo. Il nuovo locale ha come insegna un enorme Stregatto e all'interno tutto (tavoli, bastoncini, tazze, fiammiferi...) è decorato con dei gatti. Murakami fino a questo momento è vissuto interessandosi alle sue due passioni: musica e letteratura, concentrandosi però prevalentemente sulla prima, sentendo lui per primo di non avere ancora l'esperienza necessaria per scrivere un libro.

Nell'aprile del 1974 scopre però improvvisamente la sua vocazione letteraria, e inizia così la redazione del suo romanzo d'esordio, Ascolta la canzone nel vento (Kaze no uta o kike), pubblicato nel1979. Grazie a esso vince il premio Gunzo (群像新人文学賞 Gunzō Shinjin Bungaku Shō?) come migliore esordiente. L'anno seguente dà alle stampe Il flipper del 1973 (1973-nen no pinbōru), mentre risale al 1982 la pubblicazione di Sotto il segno della pecora (Hitsuji o meguru Bōken), che gli vale il premio Noma (野間文芸新人賞 Noma Bungei Shinjin Shō?) per scrittori emergenti. I tre libri vengono solitamente riuniti sotto il nome de La trilogia del Ratto poiché uno dei personaggi principali si chiama appunto "il Ratto".

Nel 1981 Murakami vende il jazz bar e comincia a vivere dei proventi ricavati dalla vendita dei suoi libri. Nell'ottobre del 1984 si trasferice a Fujisawa, nella prefettura di Kanagawa, una città sul mare a 50 chilometri da Tokyo, mentre nel gennaio del 1985 trasloca a Sendagawa, presso Tokyo.

Nel 1985 vince il Premio Tanizaki (谷崎潤一郎賞 Tanizaki Jun'ichirō Shō?) con La fine del mondo e il paese delle meraviglie (Sekai no Owari to Hādo-boirudo Wandārando). Nel febbraio del 1986 si trasferisce di nuovo, questa volta a Oiso, nella prefettura di Kanagawa. Dall'ottobre 1986 viaggia tra la Grecia e l'Italia, in particolare, in Sicilia e a Roma, dove scrive nel 1987 Tokyo blues, Norwegian wood (Noruwei no mori) — che si rivela subito un autentico caso letterario, vendendo due milioni di copie in un anno — e tra il 1987 e il 1988, Dansu dansu dansu (Dance dance dance), pubblicato nel1988.

Nel 1991 si trasferisce negli Stati Uniti dove diviene prima ricercatore associato nell'Università di Princeton, e l'anno successivo professore associato nella stessa università.

Nel 1992 esce Kokkyō no minami, taiyō no nishi, in italiano A sud del confine, a ovest del sole. Nel luglio del 1993 l'ennesimo trasferimento, a Santa Ana (California), per insegnare all'università William Howard Taft. Nel 1994 e nel 1995 vengono pubblicati i tre volumi di Nejimakidori kuronikuru, L'uccello che girava le viti del mondo, che gli valgono nel 1996 il prestigioso premio Yomiuri (読売文学賞Yomiuri Bungaku Shō?).

Nel 1997 viene pubblicato Underground, saggio sull'attentato alla metropolitana di Tokyo da parte della setta Aum nel 1995. In questo saggio, Murakami raccoglie le interviste ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime, cercando anche di tracciare un quadro del Giappone contemporaneo.

Nel 1999 esce Supūtoniku no Koibito, in italiano La ragazza dello sputnik.

Nel 2001 si trasferisce infine a Oiso, prefettura di Kanagawa, dove vive tuttora dedicandosi, oltre che alla scrittura, al podismo: vanta infatti all'attivo oltre venti maratone disputate e addirittura una ultramaratona.

Nel 2006 riceve il Frank O'Connor International Short Story Award per la raccolta di racconti brevi Blind Willow, Sleeping Woman e vince il World Fantasy Award con il romanzo Kafka sulla spiaggia. Sempre lo stesso anno gli viene conferito il Premio Franz Kafka, in passato già assegnato ad autori del calibro di Philip Roth, Harold Pinter ed Elfriede Jelinek.

Haruki Murakami è il traduttore in giapponese delle opere di Raymond Carver, che considera uno dei suoi mentori letterari."

Il fatto che "Norvegian Wood" o "Tokyo Blues", come volete chiamarlo, sia stato scritto proprio in Italia crea un legame con questo autore che credo non si possa scindere.

La nostalgia che permea questo romanzo è molto italica, non saprei come definirlo altrimenti.

“Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747.”

Il romanzo inizia con questa frase davvero profetica. Il protagonista torna a terra e sprofonda nei ricordi. Come spesso accade è una canzone a fargli tornare in mente la sua giovinezza. Gli anni che lo portarono da un diciassettenne adolescente ad un giovane uomo di vent’anni.

Watanabe, si comprende tra le righe, è uomo di successo, che con rammarico constata di essersi dimenticato il volto di Naoko. Non riesce o, a stento può farlo. Non ha mantenuto la promessa di non dimenticarla.

Da queste considerazioni parte il romanzo che ci riporta alla fine degli anni 60, in un 68-69 con turbolenze alle quali il protagonista non presta attenzione, troppo preso dalle sue vicende personali.

I personaggi sono pervasi da un logorio interiore e da un’inquietudine nostalgica e melanconica, solo l’apparizione sopra le righe di Midori potrebbe riequilibrare il baratro su cui cammina il protagonista.

Il tema ricorrente del suicidio, del sesso come via di fuga, l’egoismo, la solitudine, la depressione, sono tutte tematiche così lontane da quella che dovrebbe essere l’esperienza di un giovane uomo ventenne. Eppure lo seguono e lo portano diventare ciò che sarà.

Vi sono citazioni meravigliose de Il grande Gasby, de Il giovane Holden, a cui il protagonista stesso a volte pare somigliare, ma c’è un ombra, un vento freddo che distanzia questo romanzo dagli altri due che ho citato.

Se i vent’anni sono l’estate della vita, la giovinezza di Watanabe mi ricorda molto il verso conclusivo della poesia di Pascoli, Novembre: “È l’estate, fredda, dei morti”

Però non potete non leggere “Kafka sulla spiaggia”!

Di questo libro non ho scritto recensioni, non ce l’ho fatta.

Potrei dirvi che c’è un anziano signore che parla con i gatti, che c’è un quadro che guida un protagonista, che c’è un mondo parallelo, ma tutto questo non ha alcun senso.

“Questo romanzo è surreale e avvolgente come un sogno. Non c'è niente da capire, bisogna solo lasciarsi guidare, affidarsi totalmente all'autore. Inutile cercare di tirare le somme alla fine della lettura. La mèta è il viaggio.”

Scrissi appena conclusa la lettura, e la penso ancora così.

Per questo Murakami conclude il mio Giappone, perché in sé racchiude quello che penso di questo paese.

Un enigma irrisolvibile e non completamente comprensibile, ma nello stesso tempo o, forse proprio per questo, affascinante e di una bellezza da togliere il fiato.

venerdì 15 aprile 2011

Il mio Giappone 3

Non datemi della tira pacchi, neanche oggi parlo di Murakami.
Dopo l'anime di Miyazaki, dopo la scrittura ironica di Amélie Nothomb oggi vorrei parlare di un'autrice italiana che scrive fantasy orientali.
E secondo me è molto brava.

Francesca Angelinelli.

Nasce a Busto Arsizio (VA) nel 1982.

Scrive per passione fin da quando era bambina e nel corso degli anni, grazie alle numerose letture, si avvicina alla narrativa fantastica.

Nel 2004 riceve il suo primo riconoscimento giungendo terza al Premio di Narrativa Yoric con il racconto "Una strega vera". Nel corso del 2005 due racconti vengono pubblicati su riviste specializzate: "Da Ogni Dove" sul numero di Febbraio/Aprile della rivista Inchiostro, e"Infiltrato" sul numero di Marzo della rivista Il Laboratorio del Segnalibro.

Nel 2007 pubblica i suoi primi due romanzi, i fantasy orientali "Chariza. Il soffio del vento" e "Chariza. Il drago bianco", per Runde Taarn Edizioni, con cui nel marzo del 2009 pubblica anche "Valaeria". Nel settembre 2009 pubblica il paranormal romance"Werewolf" con l'editore Linee Infinite.

Il 2010 è l'anno del suo ritorno al fantasy orientale con il volume "Kizu no Kuma", edito da Casini, che inaugura la serie Ryukoku Monogatari, e con la pubblicazione della raccolta "Racconti di viaggio del monaco Kyoshi", vincitrice della seconda edizione del Premio di Narrativa Fantastica - Altri Mondi.

Sempre nel 2010 alcuni racconti vengono selezionati per diversi progetti:
Il racconto fantasy orientale "Notte di Luna" è stato inserito nell'antologia "Trifolium" (Caravaggio 2010).
Il racconto fantastico "L'ultima Signora" sarà inserito nell'antologia "La notte delle streghe & dei vampiri"(Novembre 2010), edita da Giovane Holden Editore.
Il racconto cyberpunk "Doppio Gioco" è presente sul primo numero della rivista "Altrisogni" (2010)

Chi non la conoscesse può rifarsi leggendo Kizu no Kuma. Io l'ho trovato scritto veramente bene e lo consiglio agli amanti del fantasy orientale.

Gaiko, giovane guerriero dell'Impero Si-hai-pai, ha un futuro brillante di fronte a sé. Ma l'assassinio della sorella Karui sconvolge la sua esistenza. Spinto dal desiderio di vendetta, Gaiko compie una strage.

Non sa di essere stato una pedina in un gioco di potere più grande di lui.

Il suo mondo è in frantumi e, costretto alla fuga, rischia di perdere se stesso, oltre che tutto ciò che deve abbandonare a Hoh-ma, Capitale dell'Impero. Ma in un tempio, abitato dal misterioso monaco Yurei, Gaiko inizia la riabilitazione fisica e spirituale. Qui incontra anche una donna, Mai-mai, che lo costringerà a confrontarsi con le sue colpe e il suo passato.

Quando lo lessi scrissi questo commento su aNobii, e la penso ancora così

La cicatrice dell’orso

Un grande guerriero nell’arco di due giorni perde tutto ciò che aveva, nome, onore, ricchezze ma soprattutto se stesso. Il furore che si impossessa di lui, nello scoprire l’assassinio dell’amata sorella, lo porta a commettere atti di inaudita violenza verso i colpevoli, ma anche verso poveri innocenti. Inseguito braccato cade nel fiume, il Drago Azzurro e in una buca, il Drago Verde. Lui che era il Drago rosso dovrà imparare a Fermarsi e a Calmarsi.Un monaco, una dolce fanciulla, un demone, una guerriera dal passato segreto lo accompagneranno lungo il percorso che gli consentirà di far rimarginare la sua cicatrice e di ritornare un uomo, non più un orso.

Ho letto il libro in un soffio, stupendomi di come fossi arrivata alla fine senza accorgermene, sono stata accompagnata lungo il percorso di rinascita di Gaiko e attraverso questo impero orientale, il Si-hai-pai, e alla fine mi ritrovo a chiedermi se tutto ciò è esistito veramente o se la fervida immaginazione di Francesca Angelinelli è riuscita a rendere così credibile questo luogo incantato e orientale.

Il succedersi delle stagioni, la leggerezza così pesante dei personaggi e delle loro emozioni, il dolce paesaggio sono descritti con grande maestria. I luoghi dell’anima non prevalgono mai sui luoghi fisici, che anzi si adattano ai momenti della vita del protagonista. Ed ecco che la morte è autunnale, la gioia è estiva, la vendetta, ma anche la rinascita, sono fine inverno.

Un romanzo in cui le ambientazioni hanno grande impatto nella storia e nel lettore e per il quale la definizione fantasy orientale, secondo me, è troppo stretta.

Una storia che mi è piaciuta moltissimo, scritta bene, coinvolgente e ricca di emozione. Il libro si conclude con una parte dedicata alle tradizioni dell’Impero Si-Hai-pai, che ho molto apprezzato, sia per la veste grafica, assolutamente originale, sia per la ricchezza di informazioni.


Quello di oggi è un post in cui volevo far capire come ci siano anche autori fantasy da cui attingere per conoscere il Giappone. Spero di avere raggiunto l'obiettivo.



venerdì 8 aprile 2011

Il mio Giappone 2

Come promesso il venerdì è per il Giappone.
Dopo il post dedicato a "Conan il ragazzo del futuro", l'anime del maestro Miyazaki, volevo parlarvi di Haruki Murakami ma non sono pronta.
Affrontare uno dei mostri sacri della letteratura mondiale richiede un approfondimento maggiore di quello che posso offrire al momento, quindi di lui scriverò la prossima settimana.
Oggi parlo di un'autrice che ama moltissimo il Giappone: Amélie Nothomb.
Per i pochissimi che non la conoscessero la lascio presentare a Wikipedia:

Amélie Nothomb (Kobe, 13 agosto 1967) è una scrittrice belga.



Figlia di un ambasciatore belga membro di una delle famiglie brussellesi più in vista ha trascorso la sua infanzia nel paese del Sol Levante, per poi trasferirsi in Cina per ragioni diplomatiche.

«lasciare il Giappone fu per me uno sradicamento», scrive nel libro autobiografico Stupore e tremori. InGiappone, mentre i suoi fratelli frequentavano la scuola americana, lei frequentò la scuola nipponica locale perfettamente bilinguefranco-giapponese: «Moi je parle le franponais» (Biografia della fame) - «io parlo il franponese», scrive nella prima parte della sua biografia, volendo sottolineare quanto le fossero indistintamente proprie le due lingue. In Cina frequentò la piccola scuola francese locale. Furono anni felici ma comunque difficili, di riflesso alla complicata situazione politica data dal regime comunista. Così Pechino venne vissuta solo nel ghetto degli stranieri di San Li Tun. La tappa successiva furono gli Stati Uniti, più precisamente New York, dove Amélie frequentò il liceo francese e si appassionò alla danza classica che praticò per breve tempo. L’abbandono di New York coincise con la fine della sua infanzia e l'inizio del duro periodo adolescenziale. Si trasferisce infatti in Bangladesh: «J’ai vécu dans le pays le plus pauvre au monde» («ho vissuto nel paese più povero del mondo»), dirà in un'intervista alla radio francese; qui conobbe l'anoressia(«tra i 15 ed i 17 anni smisi di mangiare, il corpo sparisce poco a poco, assieme all’anima») che la marcò profondamente influenzando la sua produzione letteraria. (Biografia della fame). Il Bangladesh la costrinse a smettere la scuola che frequentò per corrispondenza e iniziò a cibarsi esclusivamente di libri. Qui si palesò il forte attaccamento per la sorella maggiore Juliette, «unica compagna della mia adolescenza» ("vivevamo in simbiosi..."). Giunse per la prima volta in Europa a 17 anni e si stabilì a Bruxelles con la famiglia. Nella capitale belga diceva di sentirsi «aussi étrange qu’étrangère» («tanto straniata quanto straniera»); ivi si laureò in filologia classica alla Libera Università di Bruxelles, dove però non riuscì ad integrarsi a causa di un cognome denotante origini di estrema destra che comparteciparono al suo isolamento. Laureatasi, decise di ritornare a Tokyo per approfondire la conoscenza della lingua giapponese studiando la «langue tokyoïte des affaires»: assunta come traduttrice in una enorme azienda giapponese, visse un'esperienza durissima che raccontò in seguito nel libro Stupore e tremori, che riceverà il Grand Prix du Roman dell'Académie française. Nel 1991 tornò in Belgio e pubblicò Hygiène de l’assassin (Igiene dell’assassino), origine del suo enorme successo letterario. Stabilitasi tra Parigi e Bruxelles, dedica 4 ore al giorno alla scrittura e pubblica, per scelta personale, un libro all'anno.


La mitica wiki mi da il là per parlare di "Stupore e Tremori"uno dei libri più belli che abbia letto.



la trama


La storia è divertente, ricca di humour e incentrata in parte proprio sul senso di non appartenenza a nessuna cultura "certa", di riferimento. Una giovane occidentale di origine belga, Amélie, viene assunta alla Yumimoto, vero e proprio impero dell'import-export tra il Giappone e il resto del mondo. Il suo impatto con la struttura gerarchica dell'ufficio è immediatamente traumatico. Eppure Amélie conosce bene la lingua giapponese, gli usi e costumi di quel paese, le regole di un lavoro impiegatizio. Ma tutto ciò non è sufficiente. Il complesso meccanismo della Yumimoto non può essere compreso sino in fondo da una mente occidentale e Amélie si ritrova in breve tempo a subire non solo gli aspri rimproveri dei suoi dirigenti ma anche una lenta, graduale e inarrestabile retrocessione, sino ai ruoli più infimi. Tutto a causa del suo capo diretto, la giovane e bella Fubuki Mori, che si ritiene in dovere di denunciare al vice presidente una collaborazione fruttuosa ma formalmente scorretta tra Amélie e un altro capo-struttura. Con un gusto apparentemente sadico Fubuki punisce la giovane occidentale affidandole compiti modesti, quasi insignificanti. A dire il vero Amélie non dimostra molta propensione o attitudine per lavori di precisione e neppure è in grado di seguire incarichi amministrativi o che richiedano una seppur minima conoscenza della matematica e delle calcolatrici. Si rivelano fallimentari tutti i suoi tentativi di superare le difficoltà e anche le mansioni elementari attribuitele non vengono portate a termine, malgrado gli sforzi e la volontà di mostrarsi intelligente di fronte alla sua affascinante aguzzina. Insomma Amélie si ritrova nell'assurda condizione di sapere di poter svolgere compiti interessanti, per la sua preparazione e la conoscenza della lingua francese, ma di non essere mai messa in condizione di dimostrarlo a causa delle ferree regole interpersonali che vigono all'interno della Yumimoto. Costretta a cambiare la data ai calendari, a servire il caffè, a occuparsi delle toilette... Amélie raggiunge il limite della sopportazione, ma malgrado queste umiliazioni non rassegna le dimissioni, fermamente decisa a rimanere sino allo scadere annuale del contratto, quando... non sveliamo un finale che invece ci dice molto della protagonista e di quanto autobiografismo si nasconda in queste ironiche pagine.



La genialità della scrittura sta nell'affrontare il tema del mobbing senza paura e senza autocommiserazione.


Quando lo lessi lo commentai così:


Libro autobiografico e geniale, affronta con ironia e leggerezza un tema come il mobbing. Il fatto che tutto avvenga in Giappone è anche bella occasione per il lettore di imparare molte cose su questo lontano paese. Mi sono riconosciuta moltissimo nell'esperienza della scrittrice, forse è proprio per questo che ne apprezzo l'ironia. Naturalmente ci sarebbero tutta una serie di considerazioni da fare sulla tematica, ma mi fermo qui, se uno non ci è passato non può capire...


Una parte in particolare mi fa morire, quando, dopo due giorni, nottata compresa, la povera Amélie cerca di fare dei conti, consumando rotoli e rotoli di carta della calcolatrice. Senza venirne a capo. Arriva Fubuki e in 5 minuti fa tutti i conti. Quando lo lessi mi vennero le lacrime dal ridere e dal piangere, visto che a me capitò più o meno la stessa cosa, in un'altra vita...


Nel romanzo viene spiegato chiaramente il concetto di suicidio per i giapponesi e, fosse solo per questo, meriterebbe di essere letto.


Penso che questa autrice sia il mezzo migliore per traghettare un lettore occidentale, come siamo noi, nell'universo giapponese. Svelandone la bellezza ma anche i trabocchetti.


L'amore di Amélie per questo paese lo si capisce anche leggendo "Nè di Eva né di Adamo"
La storia è cronologicamente parallela a "Stupore e Tremori" ma in questo romanzo ci parla del suo rapporto amoroso con un giovane giapponese. Una parte bellissima è la sua scalata al monte Fuji (che ogni giapponese deve scalare almeno una volta nella vita!) per vedere l'alba e gridare, assieme a tutti gli altri giapponesi presenti, "Banzai!" di fronte all'alba del Sol Levante.
Un brano da far venire la pelle d'oca!


E per finire si ringrazia Wikipedia per il solito indispensabile aiuto.