Le cronache di Gaia

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martedì 14 settembre 2010

Caterina Percoto


Dove eravamo rimasti?
Al casello di Verona nord?
Bene alla fine sono arrivata a Mantova e di questo voglio parlare oggi.
Nel programma di Festivalletteratura lo presentavano così:
INTORNO A CATERINA PERCOTO (evento n° 41)
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In un intervento sponsorizzato non a caso dall'AIDDA (Associazione Imprenditrici e Dirigenti d'Azienda), Antonia Arslan, autrice tra gli altri di La Strada di Smirne, ha presentato nel meraviglioso scenario del teatro Bibiena Caterina Percoto, scrittrice sconosciuta ai molti ma il cui talento la vorrebbe citata nelle antologie al fianco di Giovanni Verga e Luigi Capuano.
Nata in un piccolo paese in provincia di Udine nel 1812, Cateriana Percoto vive un'esistenza dedicata alla scrittura in un tempo in cui si considerava persino disdicevole che le donne leggessero.
Narra nei suoi racconti una galassia sommersa, trame appassionate di voci femminili con una "grande e avvolgente pietà" e, come tutti i grandi, riesce ad essere attuale ancora oggi.
«Bisogna andare all'estero per vedere riconosciute queste grandi scrittrici» lamenta la Arslan, che poi cede il passo a un vero e proprio recital in cui brani da La donna di Osoppo e da La coltrice nuziale prendono vita grazie a Nicoletta Maragno, attrice e cantante dalle straordinarie qualità espressive, che impeccabile e toccante volteggia con scioltezza tra i vari personaggi impossessandosi di loro e conquistando tutti.

L’evento a cui sono andata è stato organizzato e sponsorizzato, per il quarto anno consecutivo, da Aidda, un’associazione molto speciale, di cui parlerò alla fine per non rubare spazio alla scrittrice.
Caterina Percoto di lei wikipedia dice:
Nata a San Lorenzo di Soleschiano (Comune di Manzano, in provincia di Udine) in Friuli, da una nobile famiglia di avvocati, artisti e uomini di lettere, fu l'unica bambina di sette figli.
Alla morte del padre, nel 1821, la sua famiglia si spostò ad Udine, e lei fu mandata nell'Educandato di Santa Chiara (oggi Educandato Uccellis), a scuola dalle suore. Da questo periodo, nacque nella scrittrice la forte avversione per l'educazione monacale delle donne, tema che Caterina Percoto difese per tutta la vita.
Nel 1828 incontrò il primo amore, un giovane di origine ebrea. Proprio per questo, la relazione fu duramente osteggiata sia dalla famiglia che dalle suore.
Nel 1829, lasciò il convento per ragioni di carattere economico. Dopo il suo ritorno a casa, cominciò a dedicarsi all'azienda di famiglia e all'educazione dei fratelli minori coadiuvata da don Pietro Comelli, già "fattore" dei conti Percoto e pievano del luogo. Comelli le diventerà presto guida spirituale e amico sincero. La carriera letteraria di Caterina Percoto ha inizio nel 1839, grazie a Don Comelli che inviò segretamente alla Favilla di Trieste il primo scritto di Caterina: un commento alla traduzione del Maffei di alcuni brani della Messiade di Klopstock. Iniziò così il rapporto di Caterina con l'editore Francesco Dall'Ongaro, che ben presto diventò suo mentore.
Immersa nei paesaggi friulani, supervisionando al lavoro nei campi e alla coltura dei bachi da seta, ritrasse nelle sue opere lo stagnante mondo di povertà del Friuli, sotto il dominio austriaco.
Nel 1841 apparirono sulla Favilla i primi racconti della Percoto. Il Dall'Ongaro la fa conoscere nel mondo letterario italiano.
Nel 1847, dopo un viaggio a Vienna, iniziò il lungo contatto epistolare con Carlo Tenca.Ma con la prima guerra di indipendenza, del 1848, i suoi scritti divennero politicamente più impegnati, e racconti come La donna di Osoppo e La coltrice nuziale, riscossero un grande successo negli ambienti patriottici.
Nell'ottobre 1852 morì il fratello Costantino, lasciandole il gravoso compito dell'educazione dei giovanissimi figli.
Negli anni cinquanta, inoltre, iniziò a scrivere in lingua friulana, e dopo due anni di trattative, con l'editore Le Monnier, il quale temeva che i titoli in friulano avrebbero infastidito gli Austriaci, nel 1863 uscirono due volumi di racconti. Gli ultimi anni di vita della scrittrice furono piuttosto sofferti, a causa delle sue precarie condizioni di salute, ma allo stesso tempo densi di avvenimenti ed incontri di particolare rilievo. Nel 1867, ad esempio, incontrò a Udine, Giuseppe Garibaldi in persona. L'anno successivo rifiutò la nomina a direttrice dell'Educandato di Santa Chiara (oggi Educandato Uccellis) e nel 1871 il ministro Cesare Correnti la nominò ispettrice degli educandati veneti. Nel 1878 e nel 1883 vengono pubblicate due raccolte di suoi racconti. Caterina Percoto morì il 15 agosto 1887 a Soleschiano ed è sepolta a Udine accanto al poeta Pietro Zorutti.
Quello che non dice wikipedia ce l’ha svelato una studiosa Elisabetta Feruglio, curatrice del romanzo. Caterina era una donna forte, indipendente ben inserita nel contesto sociale in cui viveva ma, nello stesso tempo, restia a sottostare alle regole dell’epoca che imponevano molti limiti alle donne e le obbligavano a occupazioni per lei ridicole. Amica dei maggiori narratori dell’epoca appartenente alla prima categoria degli scrittori, anche lei è scomparsa nelle galassia sommersa delle scrittrici italiane.
Come sostiene Antonia Arslan la nostra storia della letteratura è ricchissima di scrittrici brave di cui però non è rimasta traccia nelle antologie moderne. E pare assurdo che Elisabetta Feruglio abbia svolto il proprio dottorato di ricerca e analizzato Caterina Percoto a Cambridge mentre in Italia la stessa autrice sia semi sconosciuta.
Per concludere il mio plauso all’Associazione AIDDA composta da donne dirigenti d’azienda.
Mara Borriero, presidente della sezione regione veneto, introducendo l’incontro ha detto: “Noi crediamo che una sana economia non possa esistere né svilupparsi senza una solida cultura alle spalle”.
Serve dire altro?

venerdì 10 settembre 2010

In viaggio



Domani vi parlo di Caterina Percoto e della sua maestria nello scrivere.
Ma oggi vi narro le vicissitudini di tre impavide viaggiatrici sulle autostrade italiane.
Siamo partite nel primissimo pomeriggio, mangiando poco o nulla, per essere a Mantova in tempo.
Ieri si parlava di Caterina Percoto e soprattutto si ascoltava la voce di Antonia Arslan e Nicoletta Maragno, nessuna di noi avrebbe perso questa opportunità per un piatto di pasta.
Tutto bene fino a Verona, come al solito i camion tendono a buttarsi nella corsia di sinistra per sorpassare senza curarsi delle povere auto e delle loro atterrite occupanti, ma fin qui nulla di strano.
Si chiacchiera, si parla di libri, loro scrivono, io guido, poi arriviamo al bivio per Modena, ma ovviamente non può essere tutto facile tutto semplice.
Lavori in corso, sul bivio, uomini armati di corazza fosforescente e bandiera arancione intimano con gesti rituali, “rallentare, rallentare”, poi lo vedo: Homer Simpson!
Giuro uguale! Solo più rosa, lo fisso mentre mi fa cenno di andare piano e vado nella sua direzione, che non è Modena.
Cioè sbaglio.
«Nooooo!» esclamazione delle mie amiche in viaggio.
“Poco male usciamo a Verona nord e torniamo indietro” penso “tanto abbiamo il telepass!”
Già, peccato che suddetto attrezzo decida di finire la sua vita proprio durante quel tratto autostradale.
Entro spavalda, sia ringraziato il cielo, nella corsia a doppio utilizzo telepass e biglietto, ma la sbarra non si alza.
Il casellante allunga la mano, ma io più di stringerla e presentarmi non so che fare.
No panico. Sorrido e chiedo soccorso.
L’uomo, pure belloccio, e non troppo vecchio, mi guarda come fosse la sorella scema di Forrest Gump, alza gli occhi al cielo e
«Torni indietro tenendo alto il telepass» dice fissandomi con occhi di ghiaccio.
Ora, a parte che dietro avevo un tir slovacco che mi avrà maledetto da qui all’eternità in idioma a me, per fortuna, sconosciuto, non è che fare retromarcia con un braccio alzato sia proprio così agevole, specie se si guida un’auto non propria.
Arrivo in fondo e torno avanti, ma niente bip. Sbarra sempre giù.
Il casellante, che non aveva il minimo dubbio sul risultato dell’operazione, tanto da farmi credere che fosse stato solo uno spettacolino per gli operai in pausa sigaretta posti lì vicino, mi chiede:
«Dove è entrata signora?»
Rispondo per nulla imbarazzata, mentre le mie amiche preparano i soldi, però lui tecnologico e professionale mi carica l’importo sulla targa e me lo dice con sufficienza.
Lasciando trasparire quell’insofferenza mista a rassegnazione e rassicurazione, tipica degli uomini che li porta a considerare tutte le donne incapaci di guidare.
Sorriso mio a 32 denti con ammiccamento furbo (perché se le donne non sanno guidare è ben vero che sanno lusingare) e lui arrossisce, giuro, morissi adesso!
La sbarra si alza, ci giriamo e torniamo indietro e rientriamo nuovamente. Dobbiamo andare a Mantova!
La mia amica lo saluta con la mano mentre attraversiamo il casello.
In conclusione, una gran faccia tosta risolve tanti problemi!