Le cronache di Gaia

Cronache di Gaia.

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venerdì 24 settembre 2010

Accabadora




Un romanzo delicato e forte allo stesso tempo. Una scrittura che mi è piaciuta moltissimo per la sua accuratezza e semplicità. La storia di Bonaria Uria e della sua figlia di anima Maria Listru è un viaggio in molte importante tematiche. Forse è troppo limitativo indicare l’eutanasia come tema del libro. C’è, inutile negarlo, ma è trattato con tale delicatezza da risultare solo una parte di quella che è la vicenda narrata.
Forse non avrò capito nulla, ma quello che mi rimane è il profondo senso materno che ruota intorno a queste due donne, entrambe mancanti di una parte che si sono trovate e cresciute assieme. Imparando una dall’altra.
Ho apprezzato molto anche i personaggi maschili, caratterizzati in poche righe e ben delineati psicologicamente. Ma anche il mondo sardo è componente essenziale del romanzo, con le sue tradizioni rurali e rituali.
Che sensazione strana leggere di una figlia d’anima in un altro dialetto, quando ero bambina anche una mia prozia ne aveva una che l’ha assistita fino all’ultimo. Prozia, mai sposata, sul cui comodino vi è sempre stata la foto del fidanzato disperso in Russia. Questa nostra lunga Italia nella sua origine contadina risulta più che mai unita nelle antiche tradizioni della terra. Come pure il fatto del confine, quante storie potrebbe raccontare mia nonna degli agguati notturni a difesa del poco che avevano.
E io? Io potrei raccontare come mi sia sembrato strano il nome del Piave associato a luogo di sangue e morte pensando che non vi è stata una sola estate della mia infanzia in cui il gioco più bello non fosse bagnarsi in quelle acque gelide, correndo magari a nascondersi dietro l’enorme monumento ai caduti della gloriosa Brigata Sassari. Che strano sentire una sarda fare il discorso sull’importanza dell’italiano e ripensare alle quasi identiche parole della mia maestra di seconda elementare che, emigrata in Belgio e tornata in Veneto, spiegava ad una madre che non poteva non insegnare l’italiano a suo figlio perché sarebbe stata una mancanza di rispetto per tutti quei morti che giacevano nell’ossario a pochi chilometri dalla nostra scuola.
Argomenti importanti, spezzoni di vita, riferimenti a paure enormi e angosce terribili. Eppure una delicatezza e una naturalezza che rendono il romanzo leggero come un soffio. E pesante come solo la vera leggerezza può essere.

3 commenti:

  1. Come non quotarti? In effetti il legame delle due è forte e ben presente. E' forse, davvero, il vero protagonista.
    d'altronde, anche la Murgia ha dichiarato che voleva parlare di maternità, e l'Accabadora è l'ultima madre...

    Bellissimi anche i tuoi ricordi. rendono questo libbro ancora più vero!

    Un saluto.

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  2. Se qualcuno mi avesse detto avrei ritrovato la mia infanzia in un libro che parla della società rurale sarda di metà del secolo scorso lo avrei preso per pazzo! Non sono mica così vecchia ;)))
    In effetti ho solo un anno meno di Michela Murgia e forse questo vuol dire qualcosa... Grazie di essere passato e avere commentato, ma grazie soprattutto per il consiglio di lettura!

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  3. E' sempre un piacere passare di qua, anche se a volte me ne resto nel silenzio... ma, soprattutto, è un piacere aver fatto scoprire un buon libro a qualcuno. :)

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